Bob: il cane che viveva come un re




Era un pomeriggio assolato e mi trovavo sui colli toscani. Verdeggianti e lussuriosi, grondanti di piacere come solo l’estate era capace di far apparire.
Ero andato a trovare la mia amica Leluche. Amica ed ex nemica, quante battaglie avevamo combattuto incrociando le spade dei cuori, dei quadri o delle picche fiorite.
Ci stavamo apprestando a sederci. Io stavo stappando una bottiglia di Chateau del ’73 mentre lei preparava una sigaretta alla lionese, che mi aveva assicurato, dovevo assolutamente provare. Non mi misi neanche a contraddirla prima che, da buona francese, mi spedisse a fare un girocollo sulla ghigliottina.
Baciai sulla fronte la mia piccola dama Martina con la promessa di tornare qual’ora avesse mai avuto bisogno di un perdigiorno sorridente e poi mi sedetti.
Era uno di quei momento che il mio amico James di Dublino avrebbe definito come: epifania. La perfezione non esiste ma apponendoci un quasi a mo di suffisso, avrete una fotografia piuttosto fedele di quel preciso momento.
Il chiacchiericcio volava leggero, sorretto dalla brezza estiva di fine giornata. Mamma e papà Leluche ci avevano dato la loro benedizione e gli altri componenti della famiglia si stavano impegnando nel rendere reale l’espressione “due cuori e una capanna” anche se fortunatamente la cicogna o i cavoli, a vostra discrezione, avevano già fatto fiorire numerosi frutti.
Eravamo in un quadro di Monet e il vino aveva iniziato a sciogliere i contorni più burberi quando a un tratto udimmo delle parole che avevano molto poco della delicatezza francofona: “Bob, porca puttana. Il cane è scappato ancora”.
Leluche non aveva udito, incredibilmente aggiungerei, quindi con il fare più sicuro che conoscessi le sussurrai: “Cara Leluche non vorrei dire ma credo di aver udito una nota di disappunto nelle ultime parole del tuo genitore ?”.
“Eeeeeh ?” - Fu il laconico commento della mia spensierata compagna.
“Temo che il tuo cane sia attualmente mancante”.
“Hanno rubato Bob ?”
“Credo piuttosto che si sia sequestrato da solo”.
“Ma com’è possibile ?”
“Capita quando abiti nel cimitero degli elefanti. Sarebbe come arrabbiarsi per non aver recintato l’intera savana”.
“Che palle, cazzo”.
“Il tuo francese impone sempre una certa obbedienza”.
“Sì vabbè, dai andiamo. L’altro giorno ha cagato sul divano bianco. A Pasqua ha mangiato sei uova e le ha rifatte tutte quante. A Natale si è mangiato Babbo Natale e…”
“Lasciami indovinare: ha rifatto anche lui”.
“Sì ti giuro una montagna di merda”.
“Una visione edificante”.
“Insomma..”
“Ero ironi.. lascia stare, dai, corriamo da ton père”.
“Papà cos’è successo ?”
“Bob è scappato, ancora”.
“Cazzo non se ne può più”.
“Lo dici a me..”.
“Cagna o carne questa volta ?”
“Nono so ma suppongo carne. Il macellaio a quest’ora gli rifila sempre gli scarti”.
“Va bene, dai, vado a raccattarlo io”.
“Bhè fatti accompagnare dal tuo amico”.
“Sì, sì certo, tranquillo”.
“Bravi ragazzi”.
“A dopo”.
“Va bene Leluche tu prendi il fucile, io le bombe a mano e la cartina”.
“No, no J, non sarà necessario”:
“Neanche a scopo precauzionale ?”.
“Ma no zio, figurati”.
“Vabbè” – Sospirai deluso.
Dopo infiniti metri di strada e dopo aver passato: la pozza delle giraffe, il cimitero degli elefanti, la vallata degli gnu e quella degli unni, giungemmo alla macelleria “Da Nino - il pezzo di carne che ti fa cantare”. Un nome curioso, pensai”.
“Eccoci”. – Esclamò sibillina una Leluche sul piede di guerra.
“Entriamo ?”. – Le chiesi.
“Non credo che sarà necessario. Bob, Nino se uscite con le mani (e le zampe, ovviamente) bene in vista prometto che torneremo tutti dalle rispettive famiglie, sani e salvi. Ma se adesso voi continuerete a reiterare questo comportamento, che francamente me l’ha cagato in maniera notevole, io vi troverò, vi combatterò e vi mangerò”.
Qualche secondo più tardi un Bob con ancora i residui di quella che doveva essere stata una prelibata fiorentina si trascinò contro voglia fuori dalla macelleria. Coda tra le gambe e sguardo da bambino orfano. Dietro di lui Nino col proverbiale pezzo di carne che ti fa cantare.
“Oh scusa Leluche è che non so resistere a questo guaglione scavezzacollo”.
“Perché il villico toscano usa vocaboli napoletani ?” – Chiesi, confuso a Leluche.
“Fan culo” – Fu la secca risposta.
“Leluche veramente non capiterà più, giuro”. – Insistette Nino.
“Hai detto così anche il resto della settimana”.
“Ma è un regalino, una ragazzata, una sciocchezzuola. La verità è che non posso fare a meno di questo cane, mi sono innamorato di lui e, senza arroganza, credo di essere corrisposto”. – Pronunciò l’ultima parte della frase sussurrandola.
“Nino osserva bene”. – Leluche tirò fuori un mini biscotto dalla tasca e a quel gesto Bob corse verso di lei come un appestato verso Madre Teresa. Nino scoppiò in lacrime, capendo che l’amore di Bob non era per un cazzo disinteressato.
“Ora Nino -proseguì Leluche-, questa vicenda può finire in due modi. Modo numero uno: la pianti di ingozzare il mio cane, io continuo a servirmi da te e tra sei mesi ti compri la barca. Modo numero due: tu continui a ingozzare il mio cane: io cambio macellaio, ammazzo te e la tua famiglia per il disturbo che mi avete procurato, dopo di che ammazzo anche tutti i costruttori di navi”.
“Minchia...” – Il mio succinto commento.
“Leluche, scelgo la busta numero uno”.
“Saggio, spero di rivederti solo il martedì, d’ora in poi, per la consueta vendemmia della braciola”.
“Non ci saranno più intoppi, lo giuro”.
“Lo spero, per te. J, andiamo”.
“Agli ordini”.
“Bob, raus”.
E Bob fece raus (qualsiasi cosa esso voglia dire)


Tornammo a casa poco dopo. Bob non cagò più su nessun divano bianco e babbo Leluche fu soddisfatto e ospitale. Io tornai a girovagare per il mondo con una storia in più, la storia di Bob, ladro e gentiluomo che scappava per pasti e incontri amorosi ma che tornava per cagare sul divano del salotto.
Bob: il cane che viveva come un re. Il cane eroe.


Fine
JL

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