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Quel Natale in cui mi apparve Gesà di Nazareth

E’ uno di quei Natali da cani in voga negli ultimi anni: le uniche luci, intermittenti, erano quelle delle sirene bloccate nel traffico per malati di vita ribaltati nei modi più assurdi in circostanze e luoghi del cazzo. Gente che entra e spinge e incarta. Forse una doccia, del cibo del cazzo ma l’impiattamento è diventato importante. E alla fine il gran lusso è tornare a casa con un voto sul menù e un pacco scartato troppo simile a quello regalato l’anno precedente. E’ un Natale da cani con la rabbia e il dolore ad aprire nocche che non si rimarginano e non hanno manco una storia da raccontare. Che poi il dolore è l’ultimo ricordo felice rimasto, ormai ingiallito, vero, ma ancora presente da qualche parte. Qualcuno tira avanti allucinato dai neon alterni di una musica di merda con un solo suono e la speranza che i dieci euro spesi per un cocktail annacquato facciano da ponte tra un che “fai nella vita” e un “togliti le mutande”, il tutto cercando di chiudere, senza volerlo davve

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