Il naufragare del viaggiatore


“Ad ognuno il suo. Ma ognuno se lo và a prendere il proprio ? Anche il niente è di proprietà chi non fa niente per avere ciò che è suo. Quindi ad ognuno il suo. Quindi ad ognuno il niente. Che poi, la mattina, svegliandovi non vi venga in mente che quello che avete, il vostro, sia alla fine niente. Trovereste una risposta soddisfacente partendo dal mio ? Penserete al vostro, al niente ? Che poi…
Che cazzo siete voi ? ...Ma poi….Perchè cazzo leggete quello che scrivo ?”


Rumore in lontananza. Rumore molesto. Solo rumore, baccano. Non musica, né suono, né sospiro o sola aria.
Rumore.
Eppure avverto, che in un tempo che fu ma non troppo in là, quel rumore era suono, emozione o scossa.
Il rumore continua. Perché non riesco ad arrivare alla sorgente ? Perché non riesco a muovermi ? Perché, perché, perché?
Quanti why, e quanti pochi beacouse.
Un secondo, un fiato.
Apro gli occhi.
Li apro e non vedo. Non è una metafora. Non vedo.
Eppure, afferro indelicatamente il fottuto cellulare. Rispondo. Apostrofo confusamente l’interlocutore. Interlocutore…ahaha…una delle cinque parole che mi vengono in mente quando penso alle inutili stronzate dell’uomo.
Ema, maledetto Timmy Tammaro…che cazzo vuole ?
Gli rispondo, non vorrei essere sbrigativo, né scortese ma soprattutto eccessivamente cortese. Vorrei rispondergli da me, ma non ci riesco.
Lui inizia a bombardarmi di stronzate. Stronzate che compongono la mia esistenza. Cosa fai stasera ? Dove sei ? Come stai ?
Io quasi piango. Ancora non vedo, sono sdraiato su di un letto piumato, una volta mia, ora mai così straniero.
Apostrofo Ema chiedendogli, dove siamo, che ore sono…arrivo a chiedergli addirittura chi sono.
Lui la prende sullo scherzo e mi chiede se anche oggi ho iniziato a bere di primo pomeriggio. Desidererei con tutto il mio animo di potergli rispondere affermativamente. Dio, quanto amo il bere. Che strada difficile e diretta che è: il bere. Ma no, oggi, non ho bevuto,ancora. Oggi…che oggi è oggi ?
Dico al minchione di svegliarsi e rispondere, quasi lo imploro.
Voglio sapere dove sono. Ricordo solo che ho parlato con mia madre dell’ultimo film dello zio Clint, stroncandolo. Tutto il resto è sbiadito, lontano ed apatico.
Ema, coglie il dolore nella mia voce. Avverte il tormento del mio domandare. Gli proietto tra i pensieri, l’immagine mia quale una formica che sul dorso cerca di girarsi e tornare al formicaio. Fosse stato solo quello. Fosse stato quello l’unico problema.
Piccolo Ema. Buon fratellino, ingenuo e puro…e in questo caso stupido della mia stupidità, del mio perdermi, del mio essere una testa di cazzo.
Lentamente inizia a rispondere. Mi dice che il film lo abbiamo visto la sera prima. Mi ribadisce che sono le 17.00 del pomeriggio, mi parla di una data senza che essa susciti in me nessuna emozione o ricordo al quale aggrapparmi come un naufrago coi galleggianti resti del relitto. Conclude dicendomi che sono a casa mia, nel mio letto.
Tiro un sospiro di sollievo, ma è lieve, troppo lieve per la situazione. Non riesco ancora a muovermi. Vedo le mie Marlboro ma non riesco a raggiungerle, a stringerle con desiderio e possessione.
Liquido Ema con due parole cagate via di corsa. Lo rassicuro. A lui ci tengo, non lo voglio preoccupato.
Il cellulare mi cade. Poco male, la telefonata era già conclusa.
Stranamente il mio primo istinto non è quello di tentare una volta ancora il movimento. Né quello di urlare per chiedere aiuto. Mi rilasso e inizio ad andare a ritroso nel tempo. A ritroso nella mia mente, fino al mio spirito e dentro ai miei pensieri. Cazzo !!!
Stavo sognando, eppure…andare a ritroso nel sogno…non un pensiero..un sogno…ma..
Inizio lentamente a ricordare.
Il pranzo.
Le quattro chiacchiere con la mia genitrice.
I saluti alle mie sorelle.
L’abbandonarsi tra lenzuola e cuscino mentre la tele blatera di trattative calcistiche.
Il perdersi.
Nella mia mente, nel mio sogno.
Io non ho dormito, ed infatti, fisicamente, mi sento stanco.
Non avevo dormito. Non nel senso, che io non avessi effettivamente perso i sensi. Semplicemente nel sogno mi addormentavo e dopo mezz’ora mi risvegliavo. Mi svegliavo e fumavo. Fumavo e facevo toilette. Facevo toilette e studiavo. Studiavo e scrivevo. Scrivevo e bevevo. Bevevo ed ascoltavo musica. Ascoltavo musica e mangiavo. Mangiavo e mi docciavo. Mi docciavo e mi preparavo. Mi preparavo ed uscivo. Uscivo e ribevevo. Ribevevo e ritornavo a casa. Ritornavo ed andavo a letto. A letto stavo per svegliarmi la mattina del giorno dopo, suppongo io…già…stavo.

Tutto un sogno ? No..detesto l’astratto. Detesto chi semplifica per scappare. Non è solo un sogno, non è mai solo un sogno. Ho fatto cose, ho compiuto azioni, ho visto persone, ho bevuto e fumato…Eppure nonostante la stanchezza, non ho prove tangibili di ciò che ho compiuto. Inoltre il ricordo mi fugge. Sbiadisce e sbiadisce, sempre più..e più ancora.
Io resto qua, ancorato/legato alla mia prigione di carne e di sensi ottusi e ciechi.
Non voglio teorizzare cose che non posso conoscere…
Non posso teorizzare cose che non ho conosciuto ma solo visto.
Finalmente il mio corpo inizia a rispondere.
Mi alzo.
Fumo.
Compio.
Addirittura scrivo a Ema un messaggio, nel quale gli dico che ho sognato una sua telefonata e che grazie a quello, o, a causa di quello mi sono svegliato dal viaggio più strano della mia esistenza. Lui mi risponde poco dopo: “ Ti ho chiamato davvero, sei pazzo !!!”.
Vado avanti. Rivivo quel pomeriggio, quella sera e quella notte. Rivivo e rivivo in maniera diversa. Non faccio niente di sconvolgente, eppure le sensazioni, gli odori….tutto diverso, stravolto, più materiale, forse meccanico…
Quella notte al mio sdraiarmi nel letto segue questo pensiero: “ Si usa il 5% del proprio cervello, della propria mente. Cos’è un sogno ? Cosa vuol dire sognare ? Hai fatto un sogno troppo credibile ? Hai fatto un sogno e basta. Hai avuto la possibilità di esistere compiutamente e ti sei svegliato, o ti hanno svegliato, o desideravi svegliarti e hai fatto in modo che qualcuno lo facesse per te. Sogno, volontà, pazzia, irrazionalità, nevrosi cosmiche.
Sognavo oppure la mia vita o la mia esistenza sono durate il tempo che una chiamata le uccidesse. Una chiamata voluta da me o da chi l’ha fatta, o da qualcun altro.
Solo un sogno.
Solo una vita.
Solo nervosi.
Solo.

“Ad ognuno il suo. Ma ognuno se lo và a prendere il proprio ? Anche il niente è di proprietà chi non fa niente per avere ciò che è suo. Quindi ad ognuno il suo. Quindi ad ognuno il niente. Che poi, la mattina, svegliandovi non vi venga in mente che quello che avete, il vostro, sia alla fine niente. Trovereste una risposta soddisfacente partendo dal mio ? Penserete al vostro, al niente ? Che poi…
Che cazzo siete voi ? ...Ma poi….Perchè cazzo leggete quello che scrivo ?”


Fine
JL

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