Al decollo servono sempre coraggio liquido




Chiuso dentro la carlinga, in trappola come un’alice.
Già legato a delle cinture che proprio non paiono essere lì ad assicurarmi la pellaccia.
L’aria condizionata mi marina di quel tanto che basta a far le veci d’olio e sale.
Compañeros di fianco e una donna più coraggiosa di me da guardare nell'attimo in cui quel capitano col suo inglese made in Taiwan preme il bottone per l’highway del cielo.
Goffo e barcollante, il pennuto d’acciaio si dirige in postazione come una ballerina al provino per il ruolo d’étoile.
E tu sopra.
Per quanto ne sai il tuo mondo è già finito.
Può alzarsi da terra o schiantarsi al suolo, sempre lo stesso pennuto, s’intende. Comunque non dipende da te.
Il pennuto continua, sempre più caracollante, coi bagordi della notte precedente ancora tutti da smaltire.
E tu sopra.
E lei vicino.
E i Compañeros di fianco.
Sfrecciano, lenti come l’agonia della vita, gli altri pennuti a riposo, l’aeroporto e gli omuncoli che sfrecciano a bordo delle proprie macchinine come formiche impazzite.
E tu sopra.
Il pennuto rallenta, s’assesta, ti punta, t’avvisa.
Non ce n’è più. Sono cazzi acidissimi e tocca a te pagare il conto.
Tutte le malefatte. I fioretti disattesi. Le risposte date male o scagliate con rabbia. Tutte le mancanze, volontarie e involontarie. Tutto il male fatto. 
E’ il giorno del giudizio e stai per inabissarti in un inferno di merda subito dopo essere arrivato così vicino a toccare il sole. Moderno Icaro.
Pare improbabile, quasi impossibile, ma tant'è e il pennuto rincula di qualche passo per poi fiondarsi in una corsa caracollante con le pareti che un po’ s’appoggiano a destra e un po’ a sinistra in modalità ubriacone festante.
La velocità aumenta, gli oggetti e le persone si fanno più veloci, dapprima, e poi semplici frazioni di un quadro del quale non t’interessa dare un’occhiata più approfondita.
La senti da dentro la scossa emotiva, la spinta nelle vene della droga avvelenata ch'è l’adrenalina.
Stai morendo e sta succedendo ora. Nossignore non c’è un cazzo, in questa vita o nell'altra, che possa salvarti, questa volta non si scappa dall'interrogazione e il conto lo si paga tutto, per intero e fino in fondo.
Non te ne fotte un cazzo.
Sei lì, sei alla fine e nella fine ognuno di noi ha un’unica scelta: nascondere la testa sottoterra e passare da struzzo a stronzo o dilatare al collasso la propria fottutissima faccia e presentarsi al creatore senza paura.
Un pensiero alla mamma. Le cose fatte e quelle non. Cosa si sarebbe potuto fare meglio. Quella tizia sfuggitaci quella sera per via d’una sbronza salita male. Il pensiero di non aver mai votato la Democrazia Cristiana. Il peccato veniale di non aver mai visto Venezia.
Ormai le vene sono fuori dal collo. Braccia aperte, viso distrutto dalle urla ataviche che escono dal profondo di un’anima a cui resta un solo secondo prima di bruciare per l’eternità.
E poi.
Ponf.
L’aereo decolla.
Il capitano sfoggia il suo inglese made in Taiwan.
Colazione tra dieci minuti.
Arrivo ad Olbia tra poco meno di un’ora.
Si ripone quel coraggio in quella lontana stanza della mente, si chiude bene a chiave e ci si gira in un sorriso sospirato, compiaciuti del fatto che nessuno si sia accorto di niente.
Ce l’ho fatta, ancora una volta.
Alla prossima spinta emotiva.

Fine
JL



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