Meingway



L’ubriaco è un infedele
E l’infedele è un ubriaco.
Il primo si affranca dal mondo. 
Il secondo lo ingentilisce col proprio vizio.
L’ubriaco agita il cazzo tra le mani.
Sbraita tra la folla .
Ulula il cognome di una cagnetta mai conosciuta e tace l’amore volato via.
Uccello azzurro, silenzi e dolori. Punto, basta, finito.
L’ubriaco fa del caso la ragione di vita e della vita la ragione del caso.
Ha origine precisa, questo qui, che non si creda.
Stelle e strisce. Uno stivale bagnato. Il verde d’un quadrifoglio.
E un castello bagnato dalla pioggia.
Non si scappa.
L’ubriaco è infedele con se stesso. Si prende a male parole, poi si picchia.
Non è fedele a quello che beve.
Ammicca ora al gin e tra un momento a un whisky scardinato dal ghiaccio.
Non è fedele a quelli con cui beve o a quelli per cui lo fa.
Né ai pensieri del bere. Ma a quelli già ci lascia la sincerità
Finisce ben presto che l’unica persona a cui l’ubriaco sia fedele è il barista.
Poi fotte anche lui servendosi da solo.
Non per la sua fedeltà terrena quanto per la sua essenza.
Le verità che dice e non i contorni delle questioni.
Ha i vizi di un uomo e l’anima più pura, alcolica e leggera, tanto che basta il fumo d’una sigaretta a spazzarla più in là.
Questa vita di merda e di gente di plastica.
L’ubriacone si evolve appassendo nella lingua dell’alcolismo. Il talento è secondo solo ai limiti.
Il pensiero prende il largo appena prima che il corpo paghi il prezzo di quel volare.
Gli ubriaconi salutano in silenzio tirandosi la porta dietro di sé subito dopo il colpo di fucile.
Quello si chiama buon gusto, gli ubriaconi ce l’hanno a volte. A volte lo esercitano e a volte lo disattendono. Come il resto.
La morale c’è se dev’esserci. Che nessuno è essenziale.
La morale c’è ma nessuna la vede. Che siam tutti ubriaconi e baristi.
Fottuti e miopi.

Fine
JL

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