La vita perfetta sta sul cazzo



C’ho messo un quarto di secolo per capire l’utilità (e l’annessa bellezza) della fatica umana. Un quarto di secolo.
Tutta la vita invece mi occorrerà per poter dire di aver capito come vive un essere umano.
Quello che la vita mi ha insegnato (o che semplice mi sta suggerendo all’orecchio) è che ci sarà ancora tanto da soffrire. Tante cose che appassiranno per poi sparire. Potrei arrivare a un giorno nel quale non avrò il fiato per raccontare la mia storia o la memoria per scriverne. Potrei arrivare al giorno in cui mi dimenticherò persino di averla vissuta questa storia.
Ci sarà ancora tanto da soffrire, non è che non ne sia conscio, ma adesso la vita mi suggerisce che va bene così. Sono più sereno, a volte felice. E allora ne approfitto e tiro il fiato senza paura, senza inganni o false speranze. Mi godo questo momento in cui l’aria entra nei miei polmoni e aspetto sereno il momento in cui dovrò lasciarla andare.
Ed è così, a volte la vita ci mette la cornice e tu le decisioni. Entrambe non si può. Non sempre, oppure sì, dipende da ognuno di noi, da cosa ci tocca. Sorte. Suerte.
Piccole cose e momenti. E’ tutto qui.
Mi chiamo Pulcinella è ho solo un segreto, mi piacciono le puttane.
Alcuni hanno il tempo del rimpianto. Altri quello del rimorso. Io quello della nostalgia. Si  è comunque fuori tempo anche se la differenza di stile è impagabile tanto quanto sottile.
Nel mio messaggio in una fottuta bottiglia non lancio gridi di sorta. Non me la prendo contro il fato o la sorte. Non invoco né spiego. Racconto me stesso attraverso istantanee e brevi frasi.
Mostro un modo di essere, il mio. Non che questo debba portare chissà dove. E’ solo un foglietto illustrativo per la vita che non può essere utilizzato da nessuno all’infuori di me. Ma questo non vuol dire che non possiamo, attraverso questo, essere affini o vicini per qualche istante.
Questo foglietto mi è costato tutto il mio tempo e anche tutto il resto. E va bene così, in fondo è l’unico vero, salatissimo, conto che ci si trovi a pagare.
Nella mia bottiglia c’è una bottiglia che si svuota svuotandomi. Svuotandomi mi riempio e al contempo mi svuoto. Mi svuoto di emozioni, ricordi, immagini e sangue emorragico. Mi riempio di crudità, nostalgia e pungi in faccia. Conoscendomi, in cambio, sempre un pochino di più. Cosa che, sono arrivato a credere, sia l’unica fattibile, al di là del reale interesse che ognuno di noi nutre verso se stesso, quaggiù, in questa vita. E quando uno ha raggiunto il proprio momento semplicemente se ne va, in ordine, con l’ordine della vita. Poi pensi ai malati, ai bambini in Africa e alle tragedia e torni a bere perché quello che fai quaggiù dipende dalla botta di culo che hai quando due gambe ti spingono fuori da un tubero senza che tu ci capisca un cavolo. E in effetti la vita è curiosa, veniamo spinti via, a forza, da un posto accogliente nel quale stiamo bene e nel quale tentiamo di tornare per tutto l’arco della nostra vita. La pace e l’essere umano sono amanti passionali destinati a non stare mai assieme troppo a lungo.
Nella mia bottiglia ci sono le montagne di Cogne e i venti della Valle. Il mare di Porto Ercole e i cieli soleggiati di Madrid. L’essenza americana insita in un’aquila in picchiata. La mela grattugiata da mia madre quando la guardavo dal basso verso l’alto. Ci sono le mie esperienze e tutto il tempo che ho buttato aspettando tempo o adagiandomi su quello che pensavo di avere. C’è mio padre e quella sua larva sulla spalla. Ci sono le città e le genti che ho visitato.
I fantasmi che mi hanno assillato e i vizi che mi hanno eroso e consumato, arricchendomi e definendomi unico come ognuno di noi è.
Perché alla fine, in ogni messaggio di ogni fottutissima bottiglia dovremmo dedicare una riga all’unica ammissione che valga la pena di fare e cioè che la vita è costruita in maniera perfetta, soprattutto quando ci sta sul cazzo e ci fotte da dietro con quel poco di sabbia a evidenziare la percentuale sfigata entro cui rientriamo.
Una mia amica una volta ha scritto “…Ora penso che la distanza ci privi un po’ dei dettagli della nostra esperienza, che li assottigli di molto ma anche che li sublimi ed evidenzi degli aspetti globali che forse mentre la viviamo non riusciamo a cogliere. Così come la lentezza ci priva dell’attimo di comprensione geniale, dell’attimo di infinito piacere ma, in cambio, ci da la possibilità di riflettere sulle cose che incrociano la nostra vita e di dare loro un senso.
Tutte le cose che il pragmatismo odierno ci consiglia di evitare, in realtà ci restituiscono una prospettiva diversa, non dico migliore, ma che non può essere ignorata.
Provo a fartene un elenco, ma è molto parziale. La lontananza ti da la compassione. La sicurezza ti porge la misericordia. Il distacco ti insegna l’autocritica. L’assenza ti regala la nostalgia. L’intervallo ti consente la riflessione. La privazione ti evidenzia il desiderio. La separazione ti affida il ricordo. L’ascolto ti agevola la comprensione. Il sorriso ti restituisce la fiducia. La tenerezza ti consegna l’amicizia. Tutti questi sentimenti richiedono del tempo, non uno qualunque, il tuo tempo prezioso. Una volta che hai imparato a praticarli, sei pronta per farti nuovi amici. Ma questa volta sono loro che ti cercheranno e non chiederanno nulla in cambio: gli hai già dato quello che serve loro…”
Ora cerca te stesso attraverso il tuo percorso. La tua bottiglia.
E’ tutto qui. E’ solo questo.

Fine
JL

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