Il cavaliere oscuro


 
Gioco a spirale
Uomo, pitturato da bestia.
Animale, assetato d’umanità.
S’appresta alla battaglia.
Precipitare nel ricordo. Non è caduta placida. Neanche il vuoto è compagno. Presente per circostanza di gioco-forza.
Chiamato dagli avi, strappati, in una notte che parla d’oblio. Vittime della perdizione di un tempo infelice.
Una collina.
Un ombrello.
La pioggia copre l’urlo di dolore che la mano dell’antico amico non riesce a placare.
Imperturbata figura ricolma d’indemoniato spirito.
Scaglia il senno e la rabbia e l’odio e se ne riveste da quel giorno. Quel dolore. Quella lacrima.
Via. Andare via.
Via. Tornare. Pe ora. Per loro. Perché si può.
Lo sciame avvolgente, nel sottosuolo pulsante di rinnovato ardore.
Dal gambale all’orecchio drizzato in punta. Che dolore e paura siano pasti indigesti, da servire, a quanti banchettano alla mensa del compromesso morale.
Sballati Spaventa-Passeri danzano per ombrose sette ordinate da, solitari, uomini spaccati nel cuore.
Seguire il cammino. Discostarsene nella parte necrotizzata.
Un raggio di luce. La speranza d’un condizionale. Capelli castani parlano di lei. Chi trova tiene. Basterà ?
Il gioco d’un pazzo. Rasoiate di caos tra sorrisi di claustrofobici clown
Due facce di una stessa, graffiata, medaglia.
La speranza implode su sé stessa.
Cade l’eroe designato. Il toccasana necessario.
Allontanato il cavaliere fedele. Il muto templare.
Perse, per sempre, quelle dita solcanti.
Cicatrici e ferite e lacrime. Velenoso dolore.
Il silenzio dell’eroe. La sua fine.
Gli annali smettono di riportarne le gesta. Ne trascorrono otto in fila. Da capo a coda e di nuovo.
Ma il fato. Il Dio, o chi ne fa le veci, scrive prosegui diversi.
L’eroe richiamato a sé stesso. L’uomo sotto la maschera. La bestia, dolorante, in un abito da buona facciata.
Perdere tutto. Perdersi del tutto. Smarrire il senno ed invocare l’annientamento.
In lontananza, spighe di grano e figure placide porgono, armoniose, braccia aperte.
Si placa il dolore della mancanza. Tendere un dito. Così facile. Prossimo.
Su da un pozzo, prima lieve poi, via via sempre più tumultuoso, un coro di voci sale infaticabile: “Alzati, Alzati”.
L’eroe. Nel petto niente di meno che il proprio destino. 
Tutto hai già dato. Gli dicono.
Non tutto. Non ancora. Risponde, gettandosi alla carica.
Gli occhi dipinti di notte, furia ed ossessione.
Pugni carichi di determinata pazzia scalfiscono la mascherata montagna.
Alla resa dei conti: il pugnale trafigge alle spalle.
Il nemico che copre le proprie tracce. Il nemico che si cela nella fiducia. Il nemico nato dal grembo dell’antico maestro.
Nella fine il principio.
Un eroe al limite. Un cavaliere solitario. Dolorante e doloroso.
In un ultimo respiro immola sè stesso, salvando ciò che, chi gli è stato strappato, amava.
La fine dell’eroe. Ormai placido ricordo di, storica, grandezza. Di spirito ed umiltà. Mai domo.
Questa storia, quella del cavaliere, non termina. Non qui. Non così.
Disse un giorno, un uomo al tramonto degli anni, d’aver visto sulle rive dell’Arno un giovane uomo.
Con esso la propria famiglia.
Un uomo sereno, in pace.
Un uomo che, col silenzio di cui si circondava, parlava di ricordi ed antiche battaglie, disse il vecchio.
Nella grotta, nel frattempo, si stagliava la piattaforma ed il ragazzo, intende.
Nella fine il principio.
Il cavaliere. Oscuro.
Imperturbato e mai domo.
Capitano della propria anima.
Signore del proprio destino

 

Fine
JL

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