La Tana del Panda

La tana del Panda


Quella sera sarebbe stata mia. 
In un modo o nell’altro. 
Quella sera, raccattati i soliti tre cani morti, decisi di andare in qualche bettola schifosa a lavarmi il muso di wisky.
Amavo quella città, forse per lo smog che m’intasava i polmoni la mattina o forse per tutte le persone che correvano su e giù come formiche impazzite. No. A ripensarci, amavo quella fottuta città per i suoi quartieri malfamati, il suo lato by-night, il wisky, le bische clandestine ed i facili costumi. 
Fatto sta che...
Girovagando a bordo dell’Hammer di Jasperansen, giungemmo in questa bettola schifosa –nella zona sud della città- chiamata: “La tana del Panda“. Ovviamente, nessuno con un briciolo di sale in zucca vi avrebbe messo piede dentro. Ovviamente, noi ci fiondammo all’interno all’urlo di “A noi del panda non ce ne frega un cazzo, troviamo una mignotta che ci succhi a tutti il …zzo…. (avete capito)”.
Non era male, la bettola. Voglio dire, un posto per elfi e lupi di mare con uncini al posto delle mani, ma anche una topaia accogliente dribblata la nausea iniziale dovuta alle  folate di vomito, giunco ed acqua ragia. Articoli di giornale, incorniciati alla buona ed ormai impolverati, erano appesi alle pareti. I tavolini erano piallati al pavimento con grossi bulloni . Il pavimento stesso era formato da piastrelle lunghe e sottili con al centro il disegno di una vulva alata e pelosa accompagnata dalla scritta “Haloa”. Era un dannato posto irreale.
I miei compari ed io ci sedemmo ad un tavolino nella zona più ombrosa della bettola. Il tavolino si chiamava Russel, lo so, fu pazzesco anche per noi, eppure quel tavolo aveva un fottutissimo nome americano. 
Comunque... 
Russel era tedesco. Sua madre era una sequoia tibetana che aveva avuto una storiella con un taglialegna fiammingo. Ancora non mi spiego come Russel potesse essere tedesco.
Eravamo dunque tutti intorno a Russel: io a capo tavola, Tinozzo alla mia sinistra, Jasperansen alla mia destra e  T.J dirimpetto a me.
T.J era un ex modello di Abercrombie. Era stato licenziato poiché il profumo, invece di venderlo, se lo beveva e non contento, cercava di strappare risa ai clienti ruttandolo sui capi che questi portavano alla cassa. Che grande !!! Amavo quel polacco del cazzo, l’unico che sia mai riuscito ad ubriacarsi con del profumo. Lo amavo io, ma non i suoi genitori che infatti lo avevano spedito da me dopo che una domenica rubò l’ostia al Reverendo del suo paese tentando di rivenderla ai fedeli sbraitando: “ What’s going on ?”.
Tinozzo era un fotografo, nonché massimo esperto galattico di unicorni storpi. Era un periodo di magra per lui, certi lavori risentivano più di altri della crisi. Mi ricordo che una mattina mi svegliò alle 6.00 per farmi vedere un unicorno… Si prese un vaffanculo, il demente, io ero andato a letto alle 5.30 e l’unicorno nient’altro era se non un lava murales col suo fucile ad acqua. Tinozzo, incredibile personaggio, aveva una madre che viveva a Terabithia. Si era risposata dopo che la storia col padre di Tinozzo, un minotauro di Creta, era finita. Ora il marito stava ad Ibiza: durante il giorno faceva il pony, di sera faceva l’animatore di discoteche. La madre, invece, sfornava elfi col nuovo marito, un elfo appunto.
Jasperansen era danese, suo padre insegnava l’antica arte della “polvere di stelle” presso la rinomata università Pinguina, che si trovava subito dopo Copenaghen e a destra dopo il terzo ghiacciaio immortale. La madre di Jasperansen era una casalinga, brava donna lei e anche discreta fica. Purtroppo non aveva un buon rapporto col figlio dopo che questo l’aveva beccata mentre si faceva tritare il culo dallo chef Tony. Jasper rimase scioccato dall’accaduto, non mi hai mai voluto raccontare di quando poi lo chef sfilettò il culo a sua madre. Ma tant’è, mantenne il segreto. Per suo padre era un momento difficile, aveva perso un alunno, un salmone, a causa dell’alcol. Poveraccio, ubriaco andò a schiantarsi contro un iceberg, lo ritrovò un peschereccio di aringhe francesi. In fondo Jasperansen prese la decisione migliore, i suoi si amavano veramente e a Jasper tanto bastava.
Tornando a noi, eravamo sempre in questa malefica bettola putrescente, quando una rom circense con una gamba sola ma con in compenso tre bellissimi occhi ci portò le liste. Ero in imbarazzo, dove diavolo dovevo guardarla ? Finì col sorriderle abbassando velocemente il capo a fissare la lista. Dopo qualche secondo, che osservavamo queste benedette liste, ci guardammo stupiti l’un l’altro.
Cazzo !!! Mai fidarsi di un panda cazzo !!! Non c’era un cocktail che non comprendesse tra gli ingredienti: dita di nostromo, saliva di gabbiano o il denso sperma di drago. Fan culo pensai, ero allergico a tutti e tre. Il tempo passava inesorabile e come temevo, troppo presto, la triocula circense tornò alla carica, chiedendoci cosa avessimo scelto. T.J si buttò sul cocktail “acidi gastrici delle Indie”, Jasperansen scelse il “brezza nautica e marina n°5”, mentre Tinozzo, il più coraggioso, ordinò “ succo di vulva di lupa con spruzzata d’unghia incarnite di ciclope”, una prelibatezza. Russel, il tavolo, per il momento non ordinava niente e quindi toccava a me, povero stronzo. Odiavo quelle situazioni imbarazzanti, ma dato che v’ero dentro, fissai i due occhi canonici della circense e col mio miglior sorriso le chiesi se fosse possibile avere un wisky e coca, data tra l’altro, la mia intolleranza agli in gradienti della casa. Mi espressi in tono pacato e formale, anche perché, avevo paura che se le avessi chiesto del Jack Daniels, mi avrebbe buttato nelle segrete di quella bettola mitologica. Lei mi fissò per un istante e poi scoppiò in una grossa risata, dolce, ma porca puttana comunque insulsa ed ingiustificata. Finita dopo circa un quarto d’ora la sua paciosa risata del cazzo mi rispose in una lingua tutta sua: “T c’ nso y”. Voltandosi se ne andò, ridendo ancora un po’ sotto i baffi. Con la Ciurra lontana, mi feci spiegare da Russel il significato italiano di quella frase sconclusionata. Il tavolo mi spiegò che nella mia lingua significava:” Tranquillo, a te ci penso io”. Merda, ero fottuto, se una donna con tre occhi e una gamba sola voleva pensare a me, ero davvero fottuto. Le stavo per pagare tutte quante.
La circense riapparve abbastanza velocemente con i nostri cocktail sul vassoio. Nel frattempo io avevo letto alcuni di quegli articoli appesi alle pareti, uno in particolare spiegava la storia di quel posto. Vuole la leggenda che la bettola sia stata fondata da un gruppo di rondini migratrici che se l’erano cagato di passare l’esistenza a volare e cagare a penzoloni. Col passare degli anni però, la lotta intestina tra pechinesi e vichinghi aveva avvelenato irreparabilmente l’ambiente e le rondini se n’erano volate via a primavera, lasciando la bettola ad un panda galeotto di nome Asdrubale. Questo panda da giovane ne aveva combinate parecchie: risse, stupri, droga…insomma aveva un bel curriculum. A quanto pare aveva anche un’intelligenza fuori dal normale, questo Asdrubale, pensate che riusciva a risolvere 5 cubi di Rubik contemporaneamente mentre gli leccavano le palle. Sta di fatto che vista la vita non facile e l’aumentare dello stress imprenditoriale, anche Asdrubale decise un giorno di partire con una tartaruga – di nome Brigitta- della quale si era invaghito,lasciando così incustodita la bettola. I circensi rom l’avevano rilevata, ma per quanto facessero, ed era molto poco quello che facevano, l’aria paciosa portata dal Panda Asdrubale non tornò più.
Il tempo di leggere l’articolo e la circense se n’era andata lasciando i beveroni sul tavolo. Il mio odorava di morte e ogni tanto qualche bolla malvagia fuoriusciva da una sinistra nebbiolina che ricopriva il putrido fluido. Lo annusai meglio, eh sì, sapeva proprio di morte ed aveva anche un retrogusto di deodorante d’ascella. Gli altri stavano già tracannando i loro boccali, poveri pezzi di cazzo vomitati. Io me ne stavo lì, rapito da quell’atmosfera, poi ci pensai bene: “cazzo sono in un posto che si chiama la tana del Panda”… Mi auto imposi di non rompere le balle e mi sgargarozzai il bibitone. I primi cinque secondi sentì distintamente la mano della morte accarezzarmi la spalla
- e vi posso assicurare che non centra un cazzo col Brad Pitt di Joe Black-. Poi assaporato meglio il mio boccale, mi accorsi che mi piaceva. Non sapevo assolutamente cosa diavolo stessi bevendo e mi piaceva, mi piaceva anche quello che stavo bevendo. Alla fine, era vero, in quel bicchiere c’erano: morte, ascelle, buchi di culi ed eresie, ma anche mistero ed una punta di spritz.
Quei boccali erano talmente forti che dopo 5 min i miei compari giocavano a:” un due tre stella” col muro, riuscendo, tra l’altro, a perdere. Russel che aveva solo la colpa di avere sorretto i bicchieri, tentava di ficcare una delle sue gambe nella cascina di una gnoma irlandese, ed io mi facevo leccare l’argano da due sorelle siamesi. Incredibile, due gemelle siamesi del Siam. Non avevano delle bocche ma delle turbine, il mio fusillo non era mai stato così dritto, nervoso e lucido. Era un piacere, un momento magico, era perfetto. Mentre il mio pistone veniva tirato a lucido, ero tornato col pensiero a quando avevo prestato servizio nell’esercito di sua maestà l’Asso di cuori, bei tempi quelli. Quelle due continuavano imperterrite, avrebbero resuscitato anche i morti quelle cagnaccie. Di tanto in tanto il mio sfolla-gente m’inviava degli impulsi elettrici, non sarebbe durato ancora a lungo, il nemico stava sfondando. Sbrigativo gli risposi che poteva esplodere quando e come più gradiva. Eh infatti, dopo 2 min, esplose facendo colare schizzi di vita addosso ai presenti, gemelle incluse, che mi guardavano ansiose come delfini in attesa del premio dopo aver salutato con la pinna. In questo caso, il premio era stato la pinna.
Quello strusciamento orale mi aveva fatto leggermente riprendere, abbastanza almeno da capire che le due gemelle erano in realtà solo un cane a tre teste di nome Markus. Mi girai per vedere dove fossero i miei compari e li trovai sdraiati per terra a leccare prese della corrente, per via di una scommessa che avevano perso contro il muro, -quello di prima che faceva German di nome-. La circense, invece, mi guardava contrariata da dietro il bancone continuando a scuotere la testa. Le mie olive erano alla frutta, non potevano di conseguenza mettersi a girare per il nervoso, ma v’assicuro che ero parecchio infastidito dall’ostilità di quella zoccolaccia. Mi alzai e le andai in contro, lei non tradì nessuna reazione, nel frattempo avvicinandomi, stavo pensando a come quella paracappata avrebbe potuto capirmi parlando una lingua tutta sua. Feci per aprire la bocca ma lei a sorpresa mi zittì e mi disse in un discreto italiano:”Quello che hai bevuto ti ha fatto viaggiare ma non in situazioni nelle quali volevi andare. Ti ho risvegliato dal torpore in cui vegetavi. Tu sei nato per essere circense, tu sei nato per condurci alla vittoria nell’eterna lotta contro i dominatori dei buoi muschiati: I CLOWN. “
Io ero logicamente esterrefatto, ero venuto per lavarmi il muso e farmi leccare la biglie e adesso dovevo condurre questi zozzoni al trionfo ? Ma di cosa…? Io ???.
A onor del vero, però, iniziavo ad avvertire una sensazione strana, come se la realtà stesse cambiando intorno a me, come se in quel momento fossi stato in grado di mettere a fuoco il mondo mentre prima lo percepivo in maniera vaga. La circense aveva entrambe le gambe, ma aveva inevece perso il terzo, occhio che rotolava senza vita per terra. Era davvero bellissima, aveva dei capelli castani con leggere venature bionde, due occhioni color del nocciolo (che cosa gay da dire color del nocciolo ahahahahahahhahahaahhahaha). Comunque aveva gli occhi di questo particolare colore, un paio di seni pieni ed abbondanti il giusto, un bel sedere sodo e a mandolino – che a saperlo avrei preso lezioni di chitarra- , una schiena perfetta e delle gambe lunghe e sottili che correvano veloci fino ai piedi stretti ed eleganti.
L’amavo già, o meglio, già volevo farmela. Passò parecchio tempo, mentre al bancone lei mi raccontava del suo popolo e delle sue disavventure. Passò abbastanza tempo da accorgermi che i miei amici erano svenuti per terra dopo che avevano tentato di prendere a testate il muro, ormai soprannominato Bill, perché si erano arrabbiati con lui. La circense si chiamava Janina ed era la principessa dei circensi, figlia di Re Crodino e della Regina Becks. Mi raccontò di come i clown avessero invaso le loro terre con malefiche scimmie lancia merda capeggiate dal peggiore di tutti lo zio Gianni M.
Presi una decisione. La guardai dritta negli occhi e le dissi:” Ci sono solo un certo numero di volte nelle quali una scimmia può lanciare della merda e una persona può accettarlo e mangiarsela. Salverò il tuo popolo, Principessa”. Mi sorrise, Dio, quel sorriso sarebbe stata la mia fine. Raccattai i miei quattro mozzi che logicamente straparlavano a terra coi crani spaccati. Salutai Bill il muro, Russel il tavolo e uscì dal retro della bettola seguendo la Principessa.
Uscimmo dalla città sul dorso di potenti ornitorinchi alati e dopo due ore di viaggio ci fermammo sulla riva di un fiume. Eccoci pensai, l’accampamento rom, pensai. Invece no, non c’erano né tende né rom, si sentivano solo due grilli che ci davano dentro e se mi ricordavo bene il grillese alla grila stavano sfondando la sgrilla. Janina m’invitò a ripigliarmi, sollevò una botola in mezzo al prato e ci fece scendere per delle scale a chiocciola. Dio Santo quanti scalini, ma che cazzo fanno nella vita questi, costruiscono scale che portano ad altre scale che arrivano alle prime scale dalle quali si è scesi per raggiungere prima le seconde e poi le terze scale che riportano alle prime ?
–ok la smetto-.
Dopo circa 40 min di fottutissimi scalini, scorgemmo un cartello che annunciava:
”State entrando nel mondo rom: no abbiamo genitori, no abbiamo case e no soldi. Benvenuto se lasci du euri, benvenuto co’ maledizione si tu no lasci e pasi oltre.”
Bel benvenuto della minchia, pensai. Janina si scusò per l’eccessiva segretezza e difficoltà nel raggiungere il campo. Mi disse che erano stati costretti a trasferirsi lì dopo che Peter Pan aveva sputtanato la  storia della seconda stella a destra…Quel pirla di Peter Pan, aveva messo in ginocchio un intero popolo ed il segreto più bello del mondo solo per ficcarlo a Wendy…e a Gianni……e anche a Michele……ma pure al cane, al padre e alla madre dei tre…hihihi che grande Peter Pene !!!
Tra l’altro, mi concedo una piccola parentesi, pare che attualmente la fatina Trilly faccia la cubista cocainomane presso la discoteca “Peripezie”.
Ci muovevamo silenziosi nell’ombra, tra casette di guano, quand’ecco che Janina ci invitò ad entrare in una casetta leggermente più grossa delle altre e costruita con guano di cobra reale delle regioni del Pucket. Oh mios Dios, una puzza di merda, ma proprio di quella brutta che ti brucia il culo quando la fai, pervase le nostre narici. Janina mi spiegò che dalle loro parti, più casa tua puzzava e più eri importante e considerato. Ero a casa !!!. Appresa la notizia, i miei compari ed io facemmo uscire dai nostri buchi neri dei peti che risuonarono come infiniti gridi di battaglia. L’aria ora era davvero irrespirabile. Merda.
Janina ci condusse in quello che doveva essere il salotto, non le chiesi se lo era effettivamente, lo avevo intuito dal fatto che vi si trovava uno scheletro di stegosauro sul quale ci si poteva adagiare come fosse un divano. Subito dopo esserci accomodati, il Re e la Regina fecero il loro ingresso nella sala. Tinozzo pensò bene di esordire dando una pacca sul culo alla regine e dicendole col riso sulle labbra:”Ohaoa ma tu sei quella che la dava nel metrò… Ti ho dato due euro nell’85’ , sta vacca…come stai ? “ ….Avevamo capito che Tinozzo non era il diplomatico perfetto. Mi scusai in sua vece, ed in segno di rispetto abbracciai entrambi. Ora sì che potevo dire di conoscere perfettamente il significato etimologico delle parole “puzza di morte“.
Il Re e la Regina ci fecero cordialmente visitare la “Casa Marrone” ed il loro stato. In seguito ci chiesero se avessimo fame, la nostra risposta fu unanime:” Si ma no, meglio tenersela, rende più agguerriti” ci giustificammo per evitare di ingurgitarla pure, la merda; loro acconsentirono e ci spiegarono dettagliatamente le ragioni del conflitto secolare tra rom e clown.
Il tutto era iniziato propria per colpa dello stesso Re. Nacque come clown, Crodino, infatti il suo nome completo era Crodino il pagliaccio cretino – che nome del cazzo-. Comunque, dicevamo, nacque come clown ma dovette abbandonare il suo popolo per ragioni amorose: la sua donna aveva fatto un “palloncino” ad un altro clown e lui era diventato lo zimbello della città. Così, con l’inganno, aveva dapprima invitato i due traditori al circo che si trovava nella periferia della città e poi li aveva indotti a fare un bagno nella vasca delle letalissime meduse australiane – animale più mortale al mondo, secondo la rinomata classifica dei dieci animali più elegantemente stronzi-. Logicamente i due non fecero una bella fine, si tramutarono entrambi, per via delle ustioni, in  due pesci pagliaccio, e questo non venne accettato dalla gerarchia clownesca. Crodino allora, per sfuggire alla temutissima pena del “farfallino”, dovette scappare dalla sua gente e dalla sua città. La pena del farfallino, consisteva nello schiacciare un bottone che azionava un farfallino posto sotto il mento del condannato, che così veniva schiaffeggiato in faccia migliaia di volte al secondo per l’ilarità di tutta la città. Morale della favola, dopo anni di vagabondaggio, trovò la sua Regina rom e se ne innamorò perdutamente, diventando così il primo Re senza sangue nè sporcizia rom nelle vene. Seconda morale della storia: il clown non muore mai, non fidarti mai di un clown, sono bruttissimi cavalli ed i cavalli, si sà, sono bruttissime persone-. –pappappero-
Sta di fatto, che alla fine della storia, non sapevamo ancora come far fuori questi stronzi –i clown, non le meduse e neanche i cavalli, per quanto….no, non divaghiamo, i clown dovevamo sterminare ed i clown avremmo fatto fuori-.
Questi ronciosi maledetti però, erano immuni alla morte da risata, a quella da tristezza e a quella per lancio di merda, oltre che logicamente, alle armi da fuoco.
A noi le cose facili ce lo cagano, vero mago Merlino del cazzo !!!
Eravamo incassati nel divasauro ad arrovellarci per trovare una soluzione, quando, Jasperansen se ne uscì con un’idea geniale:”Non uccidiamoli, trasformiamoli e solo dopo finiamo il lavoro”. Che esimia mente del cazzo, ma come ho già detto, lo amavo. Gli dissi di proseguire, e lui fissandomi mi chiese:” di cosa ha sempre paura un clown ?” Logicamente restammo tutti in silenzio, quel beota mi stava dando sui nervi, come se uccidere un clown fosse una cosa ovvia e sensata e solo gli imbelli non conoscessero il loro punto debole. Jasperansen proseguì un po’ deluso dalla nostra reazione:” Ma è ovvio miei cari, tutti i clown hanno paura di loro stessi”. “Geniale, grazie Freud del cazzo” gli urlai, proprio fuori dai denti.
Lui non si scompose:”aspetta un attimo Principe Cazper” mi disse ironicamente, “ i clown si mascherano perché hanno paura di essere loro stessi, di vedersi nudi e indifesi. La maschera di trucco conferisce loro tutti i poteri ma è anche il loro punto debole, debolissimo. Spruzziamoli con potenti getti di piscio infetto e quando il trucco sarà colato, gli daremo il colpo di grazia, o addirittura, se saremo fortunati, si annienteranno da soli”.
Piccola testa di girino storpio, era una fottutissima idea geniale, irreale come noi del resto, ma geniale. Iniziammo a respirare aria nuova in quella stanza. Un secondo dopo capimmo che era la stessa aria di merda di 5 min prima, ma almeno avevamo un sogno, una speranza, una possibilità concreta di vittoria.
Erano le 6.00 del mattino e non ci restava molto tempo, dovevamo sbrigarci, dovevamo agire.

Ore 11.00, coordinate 69°/90° zulu wisky yanky charlie --> Città dei clown
Baraldinopoli, pieno centro, in piazza “Rekoj” si sta svolgendo la solita giornata da clown.
Ad una certa però, tutti i fottuti nasi rossi del posto si levano verso l’alto. Un pallone aerostatico raffigurante uno Gnum-Totoro -creatura simile ad un koala gigante delle pianure del Gilgamesh, ma obeso-, vola alto nel cielo sopra la città. Una serie di mormorii e bisbigli accompagnano per la città la domanda:” Che diavolo è quell’affare ?” Il tempo che la domanda arrivasse ai quattro lati della città, che la stessa era stata oscurata, non più da un solo pallone, ma da 50 di questi, tutti uguali. Telecomandati i palloni, nelle posizioni che avevamo scelto, li facemmo esplodere. Litrate anzi tonnellate di piscio infetto  -voi non sapete quante birre abbiamo dovuto bere…-, comunqe, tonnellate di piscio si riversarono per le vie della città annacquandola e sciogliendo tutti i fottuti clown. Ricordo ancora il loro grido collettivo di terrore:” Cazzo, ci pisciano in testa !!!

Il resto è storia.

I clown senza trucco erano come ciechi senza cane antidroga, nel giro di sei ore Baraldinopoli era deserta ed i rom liberi dalla minaccia pagliaccia.
Quella sera non festeggiammo tutti assieme. I miei ragazzi si cimentarono con i locali in bevute, lancio del nano ghiacciato e scopate nomadi. Io rimasi ospite della principessa, nella stanza della principessa e dentro la principessa, l’unica che aveva visto in me un Principe-condottiero e non un babeo. L’amavo con tutto il cuore, era bella da spezzare il fiato. Questa era una creatura gentile, l’unica che mi avesse, tra le altre cose, mai amato, veramente. Facemmo lo slurp slurp  più del mondo quella notte. Mentre mi cavalcava, a cavalcioni sul mio stantuffo, io le toccavo i seni e mi perdevo con lo sguardo in quegli occhi liquidi color nocciola che mi ricambiavano soddisfatti. Mi inebriai del profumo dei suoi capelli -lavati per l’occasione- e per la prima volta dopo aver dato il bastone ad una….cagna…no una donna, una vera donna… per la prima volta, dicevo, me l’abbracciai tutta, per tutta la notte. Sudore e seme ci ricoprivano, i nostri corpi nudi erano accarezzati dall’aria e noi sereni ci eravamo abbandonati sopra un cumulo di piume.
Non ci fu mai day-after a quella notte, per me. Mi rivestì mentre lei ancora dormiva, ed in silenzio, dopo averle baciato la guancia destra per l’ultima volta mi voltai per non tornare mai più. Lei era fidanzata e si sarebbe dovuta sposare poco tempo dopo, sapevo che avrebbe mandato tutto a monte per me, ma non volevo rovinarla e/o allontanarla dalla sua famiglia. Inoltre quella sera aveva rappresentato il culmine della mia fottuta esistenza da quattro soldi. La perfezione può essere solo sfiorata, non ti accompagna mai per tutta la vita. Soprattutto, la perfezione non mi è mai stata amica, anzi...Non volevo rovinare quello che eravamo stati e che avevamo significato.
Me ne andavo senza voltarmi, avevo vissuto l’avventura della mia vita, avevo avuto la mia principessa, avevo intravisto il principe che sarei potuto essere e non dovevo dire grazie a nessuno per questo, tranne che a lei, Janina. Me ne andavo senza voltarmi, era tempo che anch’io, come Asdrubale il Panda, trovassi la mia oasi in mezzo al mare del ricordo e della speranza.


1) Dedicato a Giovanni F: perché tu possa sempre ricordare che anche i clown hanno paura di qualcosa.

2) Dedicato a quei/quelle mongoloidi che mi sono amici/che: è con voi e grazie a voi se ogni tanto percepisco ancora un briciolo di umanità in me stesso.

3) Dedicato a tutti coloro che ridendo cercano un’isola felice con un panda pacioso che li accolga.

4) Dedicato alla mia famiglia.

Fine

J "B" L



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