Via da Desert City
Sono quelle sere, quelle. Quelle che fanno più male. Quelle
che restano dentro in ricordi randagi. Quelle in cui “tromba” passa da
complemento oggetto a soggetto di una frase masticata via.
Quelle sere, quella, in cui una tromba soffiava nostalgia
dalle dune del deserto fino alle vie abbandonate di Desert City.
“Per te è già finita, Jack”
“Sì lo so. Comunque sia per me era già finita tanto tempo
fa.”
“Cosa pensi di fare ? Per uscirne intendo...”
Bofonchiai una risata che non dovetti nemmeno tentare di tenere
sommessa.
“Uscirne, Uscirne. E’ questo il punto, sia come sia, è
sempre il finale ad essere instabile, mai l’inizio, per ogni storia”. Feci a
Denyard
“Che centrano adesso le storie ?”, mi ringhiò il confuso
compare.
“Un uomo viene chiuso in galera per ventisette anni e ne
esce pronto a perdonare chi ce l’ha rinchiuso.”
“La storia non era proprio così”, ribatté.
“Lo so, lo so, le storie non sono mai così. Per questo si
raccontano”.
“Vuoi arrivare al dunque ?”
“Un guerriero cherokee s’innamora della figlia del capo del villaggio.
E’ un uomo onorevole ma poco legato alla materia. Un giorno il guerriero parte
per una battaglia, una battaglia che lo terrà lontano dal villaggio per
vent’anni. Tornato finalmente a casa la prima cosa che fa è andare dal capo del
villaggio con in mano lo scalpo del capo nemico.”
“E poi cosa succede ?”, chiese Denyard.
“Il guerriero chiede al capo la mano della figlia. Il capo
acconsente a patto che la figlia sia
d’accordo. Tuttavia la donna , pur riconoscendo lo spirito del guerriero
sceglie di passare la vita con l’uomo più ricco del villaggio pensando che la placidità di una vita serena sarebbe valsa
il sacrificio dell’amore.”
“E com’è andata a finire ?”
“Il guerriero salutò senza rancore la donna, il capo del
villaggio e tutta la sua gente. Poi, senza provviste voltò se ne andò per non
tornare mai più e venne inghiottito dalla giungla. La figlia del capo visse una
vita lunga e ricca ed ebbe molti figli che a loro volta le diedero dei nipoti.
Tuttavia la donna non scordò mai quel guerriero rifiutato, il suo grande amore,
la possibilità di una vita passionale che aveva scacciato. Ora, solo ora
capiva. La donna continuò a vivere la sua vita finchè un giorno morì con tutti
gli onori che aveva pensato di desiderare ma senza l’unico amore che avrebbe in
realtà voluto. La giungla li aveva inghiottiti tutti e due”
“Cazzo. Cazzo, che storia. Ma...ma è successo sul serio ?”
“Ovviamente no...la giungla non inghiotte nessuno, sono le
persone che si sputano via. L’amore è un capolavoro senza finale e questo è
quanto.”
“Ma che cazzo dici, l’amore è gioia, felicità.”, urlò fuori
dai denti Denyard.
“La marea bacia la riva cancellandola. Capito il concetto ?”,
gli sussurrai a conclusione.
Denyard rigettò il muso nel boccale un po’sconsolato, sperando
che la sbronza gli lavasse via dal muso quella spiacevole sensazione che le mie
parole gli avevano suscitato.
Dopo qualche minuto passato in silenzio a rigirarsi tra le
guancie una nordica bionda, Denyard quasi come in preda a una scossa colpì la
mia spalla e a voce più alta del necessario, quasi urlando, mi disse: “Ho
trovato. Ho la soluzione all’inghippo”.
“Sentiamo”, gli feci.
“Tu devi loro il 20% del carico. Li chiami e dici loro come
sono andate le cose, che t’hanno teso un’imboscata e t’hanno fottuto. Chiedi il
loro aiuto per cercarli e fargliela pagare in cambio del 50% sul prossimo
carico. Nel frattempo io chiamo Billy Joe e piazzo un paio di puntate a nome
tuo al West Brinch; ci sono un paio di mustang ben quotati, se sai cosa
intendo, me l’ha spifferato Henry lo Stecco, quello zoppo che guarda le spalle
a Padre Mellroy. Punto due mila dollari a testa e ne tiriamo su centomila. Col
malloppo pago le giocate e il restante lo usiamo per pagare la prima tranche
del prossimo carico. Eh, eh, che ne pensi ? Non ti devi neanche preoccupare dei
federali, mio cugino Jerry è diventato capo ufficio e gli posso far spostare i turni
delle volanti a piacimento a patto che anche lui, ovviamente riceva una fetta
della torta. Che ne pensi Jack, eh, dai, si può fare”.
Caro vecchio Denyard buono come il pane e stupido come un
pellicano che tenta di bere champagne da un bicchiere. Mentre ascoltavo quelle
sue assurde trame vedevo già, come fossero note a margine, ogni virgola e inghippo
possibili. Dovevo comunque cercare di moderarmi, in fondo poteva essere
l’ultima sera che lo vedevo. Anzi era con ogni probabilità l’ultima sera che lo
vedevo.
“Den. C’è solo un cosa che quella gente odia più di chi li
frega ed è chi si fa fregare, ovvero quello che è capitato a me. Billy Joe non
mi accetta più puntate da quando gli ho scopato la madre dicendogli che mi ero
confuso perchè assomigliava troppo alla moglie. Quanto a tuo cugino Jerry, bhè
Jerry, è solo un idiota e non dirige proprio un bel cazzo di niente, Winston sa
che è solito intrallazzarsi con te e sa bene che cosa tu faccia, o non faccia,
per campare, l’ha messo lì solo per tirarti in trappola e non dubitare che lo
farà alla prima occasione.”
“Merda. Almeno io mi sforzo, ci provo, tu te ne stai qui
tranquillo come se il culo a rischio non fosse il tuo”, mi sputò in faccia
visibilmente offeso.
“Se mi prendessi il cazzo tra le mani e iniziassi a
saltellare da un piede all’altro ti sentiresti più sereno”.
“Sì.”
“Lo so...le scimmie fan sempre quest’effetto. Anche quando
si lanciano la merda addosso mi fanno impazzire. Le scimmie sono gli unici
animali che hanno veramente capito che la merda è la lingua da parlare con la
vita.”
“E quell’insetto che si porta la merda dovunque vada”
“Quello sono io D, quello sono io.”
“Jack devi stare sul pezzo non è tutto perduto, ci devi
credere”
“Ma io ci credo D, è solo che non penso che agitare il mio
culo sulla sedia come se stessi cercando un amichetto possa essere un buon modo
di stimolare le mie annacquate meningi”
“Se solo avessi voluto, se solo avessi voluto quante cose
che avresti fatto”
“Ancora con ‘sta storia, la verità è che ho fatto quello che
dovevo fare. Ho creduto in quello in cui credevo e all’ambizione ho sempre
preferito la passione. Secondo te una donna ama un uomo che la gode o uno che
la fa ricca. E poi quello che trasformava l’acqua in vino s’era già visto,
serviva uno che poi lo bevesse”
“Cosa centra adesso Dio, spiegami. E comunque a parte che
l’amore di una donna è più mutevole del vento, queste alla fine scelgono sempre
chi le tratta a modo.”
“Gesù Cristo non funziona più perchè ormai è molto più
facile fare la sua fine che essere un Barabba qualsiasi. La “cosa” del
sacrificio per il prossimo non funziona più. Ormai il nostro hobby è la
resurrezione. Dell’aureola ce ne facciamo poco, preferiamo mescolarci tra la
folla”.
“Sei un coglione”
“Lo so”
“Cosa conti di fare ?”
“Non saprei, la matematica non è mai stato il mio forte.”
“Smettila di fare il coglione, cazzo. Tra due ore ti pioverà
addosso tanto di quel piombo ad affondare nel deserto”
“Grazie per ricordarmelo ogni due minuti”.
“Ma tu sei qui a raccontare storie, a parlar di donne, come
se...”
“...Come se il culo non fosse il mio. Sì lo so”
“E allora, per Cristo, cosa pensi di fare ?”
“Carta e penna”
“Come ?”
“Hai sentito, spicciati”
Denyard tornò col foglietto giallognolo che gli avevo
chiesto e un carboncino abbastanza appuntito per scrivere. Presi il carboncino
e scrissi sul foglietto. Concluso, lo piegai in due e lo consegnai a Denyard.
“Tienilo tu e aprilo quando saprai che è giunto il momento”.
“Quando lo saprò ?”, mi chiese.
“Lo saprai, lo saprai”e gli diedi una pacca sulla spalla
(avevo sempre desiderato dire una di quelle minchiate da film mentre l’altro ti
guarda e sullo sfondo delle tue parole ha un’improvvisa rivelazione e diviene
l’uomo che non era mai stato fino a quel momento. Ma Denyard è sempre stato
l’uomo che doveva essere e almeno questo glielo si doveva riconoscere. Era un
amabile cazzone.
Mi voltai per uscire dal locale e iniziai a camminare verso
l’uscita quando mi accorsi che un Denyard affannoso mi aveva, rincorso,
superato e si era messo tra me e la porta impendendomi il passaggio. Non più di
mezzo metro, tra la porta e me, eppure ero bloccato.
I suoi occhi stretti. Sudore che correva giù lungo la
fronte. Le rughe tirate e l’aria impiccata. Sembrava in mezzo al deserto
nell’ora più calda. I denti digrignati.
Pensai mi stesse per arrivare una tranvata.
Inspirò.
Serrò i pugni.
Eccolo, lo sapevo, stava per arrivare. La tranvata.
Mi abbracciò e scoppiò in lacrime.
Lo abbracciai e restammo un minuto uno nella vita
dell’altra.
“Su, dai omone, andrà tutto bene, te lo prometto”. Gli dissi
per placarlo.
“Niente va mai bene”. Mi rispose inconsolabile.
“Ma questa volta farò in modo che succeda”. Lo abbracciai
più forte appena prima di staccarmi e continuare per la mia strada.
Denyard urlò il mio nome, mi girai e lui con gli occhi
ancora rigati dalle lacrime mi disse: “Pezzente ma Signore, cinico ma
appassionato, egoista ma generoso. Mai approfittatore.”
Inchinai il capo in segno di rispetto e me ne andai per non
tornare più.
Camminavo nelle impolverate vie di Desert City che manco a
dirlo erano deserte, sabbiose e colme di ululati singhiozzanti appartenenti ad
anime che vi s’erano perse senza più trovare la strada di casa. Eppure a me non
sembrava un posto tanto orribile, a patto d’essere capaci di ascoltarsi e
accettarsi.
A Desert City c’ero arrivato in fasce, la prima cosa che
ricordo di quel posto era come il sole scollinasse la sera, in quel rosso
vivido, quasi fosse stato ferito a morte dalla notte. Avevo un debole per i
contrappassi, li ritenevo l’unica spiegazione plausibile al mondo, alla
natura...insomma a quello c’era da sopravvivere quaggiù. Di mio padre ricordavo
molto poco, era uno storico ed era scomparso quando ero solo un bambino per
colpa di un incidente ferroviario. Un treno stava attraversando un ponte sospeso
a diverse centinaia di metri d’altezza quando il macchinista, così almeno ci
dissero, sbagliò qualcosa, probabilmente arrivò troppo veloce allo snodo. Le
rotaie non avevano retto e il treno era scomparso nell’oceano senza più tornare
o restituirmi mio padre. A nessuno interessava particolarmente di uno storico
all’alba di un nuovo mondo, a nessuno tranne che a me.
Mia madre era un’insegnante di lingue che aveva abbandonato
tutto per seguire mio padre e il sogno di una famiglia. Ce l’aveva fatta, in
parte, ma ce l’aveva fatta. In seguito gli eventi, le scelte, il vento di
Desert City, avevano fatto in modo che ci perdessimo tutti quanti. Lì dove
regnavano legami, amore, ora spirava solo un vento sordo e sabbioso, che
m’aveva inghiottito chissà quando, chissà come...o forse m’aveva soltanto
rivelato.
Continuavo a camminare, a riflettere e, a dire il vero, a
rimuginare più di quanto avrei dovuto. Brutta bestia la nostalgia. Come facevo
ad adeguarmi al mondo. La gente beveva per esaltarsi, io per smorzarmi e
resistere da quei mediocri.
La verità non si scopre, la si a sempre...il tanto tempo che
solitamente trascorre serve solo ad accettarla. perchè fa male, perchè brucia,
perchè è un macigno sullo sterno.
Basta. Punto, finita.
Voltai i piedi e puntai dritto verso il quartiere di Rogue,
tana dei Nativi, la banda dai cui avevo comprato quaranta chili di coca e che
avrei dovuto pagare con il venti percento di quanto avessi fatturato. Ero un
po’ in ritardo, dovevo pagarli due giorni fa, pensai abbandonandomi in una
fragorosa e solitaria risata.
Arrivai davanti al quartier generale della banda. Da fuori
appariva come tutto il resto della città, un fantasma. Un rudere che una volta
era stata una bella villa con giardino. Ormai smangiucchiata dal tempo e dalla
natura che riprendeva possesso dei muri. Feci un passo avanti e uno sparo mi
avvertì di non farne un secondo. Senza alzare lo sguardo dissi a voce alta ma
senza urlare “Snick sono io, Jack Moody, ho portato lauti doni per Gunter.”.
Gunter Rogue, come si può facilmente intuire, era il capo della banda. Slavo
trapiantato, aveva pensato che tra fare la fame da misero in Germania e fare la
fame da capo nel deserto era meglio scegliere la seconda opzione. C’è comunque
soddisfazione a regnare sul nulla, soprattutto se lo vedi e sai che c’è.
Il cancello venne aperto e io ringraziai facendo seguire un
“vaffanculo Snick” che feci in modo di essere l’unico ad udire.
Venni prontamente preso in consegna da due bestioni di
colore, le guardie personali di Gunter, Chory e Dimrius. I due dopo un’accurata
ispezione mi condussero dentro il rudere, a sinistra oltre l’ingresso e
continuando oltre al salotto finchè non giungemmo in cucina dove Chory toccò un
fornello sulla sinistra dell’isola in mezzo alla sala facendo sì che questa si
aprisse per lasciarci libero il passaggio a delle scale che portavano a un
ufficio sotterraneo. Nell’ufficio ad aspettarmi, girato di schiena come ogni
cattivo che si rispetti il buon Gunter Rogue.
“Ma che tempi sono questi Jack Moody ?...Leggi, leggi
giornale...dodici persone morte di noia mortale. Ma che significa ? Che,
secondo te ?...”
Feci per rispondere ma Gunter non me ne diede il tempo, era solo
uno dei suoi monologhi ed io avevo un po’ la stessa funzione di uno specchio
per un attore che si prepara ad entrare in scena.
“...Non sono più tempi di una volta, vecchio mio, anche se una
volta pensavamo alla volta prima e così via e via e via fino a tornare a culo
di gallina e aprire questo per capire chi cazzo vinca tra lei è uovo. Sai quale
è malattia di questo tempo ? E’ problema di persone, tutti problemi di questo
tempo derivano da semplice problema di persone: l’apparenza. Le persone
preferiscono apparire piuttosto che essere ma per quanto fumo di arrosto sia
buono se no arriva carne tu no può essere felice a momento di conto, comprendi
? E così capisci -Fece un gesto con le
mani come a visualizzare per le altre persone nella stanza la continuazione del
proprio discorso-. Da insicurezza viene apparire e da apparire viene cecità ma
no cecità di occhi, cecità di cuore e credi me quando dico che chi dice te di
amare sta solo cercando, come serpente, migliore punto per te accoltellare in
cuore. Paura e insicurezza sono due malattie del mondo e quando gente capirà
non basterà sbornia per dimenticare. La verità...”
“Gunter, per favore dimmi qualcosa che non sappia già o
almeno ammazzami velocemente. Non è che
puoi pretendere che muoia da solo. Ti ho già dato la mia vita. Adesso fai
quello per cui sei venuto, se mi ami sul serio.”
“Caro vecchio Jack Moody e così in punto di morte ti
trasformi in uomo pragmatico ?”
“Quel tanto che basta a non farmi diventare il tredicesimo
uomo morto per noia”
“Sempre battuta pronta, sempre. Sei mio preferito.”
“Ah, vecchio Gunter. Il tuo preferito...dopo i soldi”
“Soldi, bella vita...cerca di capire me. Si vive una sola di
volta”.
“Caro Gunter la verità è che si vive un po’ come viene ed è
unicamente la morte che tocca una sola volta ad alcuni di noi”.
“Basta fare poeta di mia minchia rosa. Sono stanco di tuo
tono superiore”.
“Gunter e che cos’è ‘sta cortesia, siamo qui perchè tu lo
vuoi. A quattr’occhi come tu vuoi. Io sono legato e tu hai due energumeni e molte
più armi, ancora una volta come tu desideri. Calmati”.
“Vecchio Jack ci provi sempre. Ricordi due prime cose che mi
ha detto dopo che noi firmato accordo ?”
“In questo momento ricordo solo che mi piace il sesso anale”
“Ricordo io te. Tu dicesti che il bello delle persone di talento
è che sono libere dall’ambizione ma questo è anche motivo per cui perdono quasi
sempre. E poi dicesti me che è paradossale ma prima cosa di cui alcuni sono
dipendenti è anima. Alla fine restano solo due decisioni. Continui a nutrire
anima per fare lei tacere. O vai a rottura. Ci muori e caso mai risorgi.”
“Ti ho anche detto che se per essere un intellettuale devi
fare l’intellettuale, non sei un intellettuale. Dai, andiamo, sei un gangster e
poi alla fine Gandhi, Gesù e Socrate hanno lasciato un solo insegnamento.”
“Quale ?”
“L’eleganza del portare i sandali”
“Sei molto di spiritoso. Molto davvero, allora adesso fai
ridere me su perchè tu due giorni di ritardo su miei soldi. Non vedo fottuta
borsa con te. Dove sono i miei soldi ?”
“Va bene facciamolo. Gunter la verità è che sono un agente
dell’antidroga e tu sei fottuto. I soldi sono in mano ai miei colleghi che a
quest’ora hanno circondato l’abitazione e si apprestano a fare irruzione. Se
metti giù le armi e ti consegni ti prometto che non ti verrà fatto alcun male,
altrimenti, preparati a salutare Desert City”.
“Tu bluffi”, rispose irrequieto e sudato.
Strizzai gli occhi come un giovane Clint Eastwood nel
deserto. Serrai i pugni e aggrottai la fronte. La calma mi comandava. Inspirai
chiudendo gli occhi e sussurrai con un alito di voce sottile ma fermo “Gunter,
chieditelo, quanto ti senti fortunato oggi ?”
Era palesemente agitato, in preda al panico. I cinque grammi
di cocaina che si somministrava quotidianamente non lo stavano aiutando. Stava
per cedere, si vedeva, il braccio continuava ad abbassarsi e la pistola era
ormai più vicina al tavolo che al centro del mio petto.
L’aveva praticamente posata quando una voce irruppe nella
stanza “Gunter guarda che qua fuori ci sono solo silenzio e un paio di dingo
che cercano qualche gallina nei pollai abbandonati”.
“Maledetto interfono del cazzo”, pensai tra me e me.
Snick aveva ascoltato tutta la conversazione salvando il
culo del suo capo proprio quando ormai io avevo quasi messo al sicuro il mio.
“Ma come, dov’essere tutti tuoi amici poliziotti ?”
“Non li vedi mai ci sono”
“Ma davero...io credere che tu stare facendo stronzo con me”
“In effetti è sempre un’occasione irrinunciabile”
“Tu simpatico davero, anche adeso che tuo culo è senza
speranza continui a fare sbrufone. Dove sono miei soldiiiiiiiiii”, urlò ormai
del tutto fuori controllo.
“Non ci sono mai stati Gunter”.
“Tu è pazzo, che significa che non ci sono mai stati ?”
“Secondo te sono un poliziotto sotto copertura ? Io per campare
scrivo e girovago e infatti sto per morire, fatti due domande. Ho preso un po’
di quei quaranta chili e me li sono fatti, il resto l’ho gettata via, forse è
per questo che il deserto...”
Non mi fece finire e con la bava alla bocca mentre urlava
“Tu sei pazzo” mi si scagliò addosso iniziando a prendermi a pugni la faccia.
Non ci volle molto prima che questa assumesse le sembianze della coscia di un
vitello.
Gunter continuava imperterrito, in preda alla furia cieca
che l’aveva assalito. Aveva appena realizzato di averci smenato mezzo milione
di dollari e la mia vita non lo avrebbe ripagato dell’oltraggio subito.
Ormai ero un mucchietto di carne macellata e sangue
zampillante. Non sentivo più neanche il dolore, riuscivo ad avvertire un
briciolo di pace dopo tanti anni ma Gunter mi si avvicinò all’orecchio e mi
urlò “Non te la caverai così, oh no, mio buono amico. Adesso io ti faccio
curare e poi ti ripesterò ancora, e così fino a quando non sarò stancato e
allora, solo allora avrai morte lenta e dolorosa e rimpiangerai che io stancato
di te”.
“Gunter...non cadere nell’errore di tutti i cattivi”.
Incredulo scoppiò in una risata nervosa, aveva perso la
testa. Urlava e sputava e non precisamente in quest’ordine. “Quale sarebbe,
sentiamo”
“Non svelare il gran finale, fallo e basta. Chi urla di più
è colui che resta in silen....”
Mi piantò un coltello in pieno petto troncando in un istante
ciò che per l’appunto gli stavo predicando.
In un ultimo sussurro lo tirai a me e gli sussurrai “Che tu
pos..sa vivere per sem...pre, me..dioc...re Gunter. P.e.r sem...pre”.
Persi il controllo di me stesso per l’ultima volta e la
testa cadde all’indietro mentre anche gli occhi roteavano ormai senza vita.
Gunter si rialzò ancora tremante per quanto era accaduto. I due scagnozzi erano
visibilmente scossi e fissavano il loro capo in attesa che dicesse qualcosa di
illuminante
All’improvviso il silenzio venne delicatamente interrotto da
un sibilo. Dapprima sempre più distante e in seguito sempre più vicino. Più
presente. Poi il nulla e infine un’esplosione fragorosa che fece saltare per
aria tutto, spazzando via Gunter, i suoi scagnozzi, il mio cadavere e la sua
villa.
Il giorno dopo lo sceriffo parlò di una fuga di gas giusto
per dare qualcosa in pasto a uno dei due giornalisti della città che scriveva
notizie mai accadute per quei tre lettori che ancora ci credevano.
Nessuno seppe, scoprì o andò ad indagare la verità
dell’accaduto. In fondo, a chi interessava, come quel treno di tanti anni
prima. Ancora non si sapeva ma Desert City dopo quella notte perse anche la
poca vita che le era rimasta. Nel giro di sei mesi erano rimasti solo i famosi
dingo a caccia di galline dal culo dilatato che sapessero la verità sulla
storia delle uova.
Denyard fu l’ultimo ad abbandonare la città. Prese le sue
quattro cose, una delle quali era una sacrosanta sbronza, e se ne andò, in cima
ad una duna si girò e riprese il foglietto che gli avevo lasciato qualche tempo
prima. Lo aprì e lesse: “La vita è come una sega. Solo dopo essere venuto pensi
ma valeva la pena di far tutto sto casino ?”
Gli si dipinse un mezzo sorriso. Si voltò e se ne andò per
non tornare più.
Io sparivo con Desert City. Tornavo al silenzio e al
deserto.
A ognuno la propria giungla.
Fine
JL
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