Carica
Noia. Noia. una tempesta di noia. Che scroscia piscio,
arroganza e indifferenza. Paraocchi, stipiti e piatti sporchi nel lavello.
Non è mail il momento giusto. Quello era quando hai penato
che lo fosse ma tra il pensarlo e l’arrivare a viverlo ne è passato un altro e
un altro e un altro ancora. Ci rivediamo domattina alla stessa ora, per la
stessa considerazione sull’accaduto.
Datemi una sigaretta, tagliate il filtro e riempite quel
bicchiere con qualcosa di secco. ‘Ste fottute cellule si rigenerano troppo in
fretta e le altre sono ormai andate perse, afone e sorde, come erranti sciocchi
che finalmente hanno capito.
“Ho solo il tempo di un drink.”
“Come al solito...”
“Volevi vedermi...Eccomi.”
“Non so se sia stata una buona idea.”
“Probabilmente no, in fondo non lo è mai.”
“E’ passato tanto tempo, nel tempo.”
“E’ un concetto profondo il tuo...”
“Intendo...che è passato più tempo per noi, nonostante non
sia passato così tanto tempo.”
“Se lo dici tu...”
“Ecco vedi come siamo diventati distanti.”
“Lo so, lo so. Prima le sedie, poi i tavolini. Quando
finiranno queste tragedie ?”
“Ma cazzo, vuoi smetterla di fare il coglione ! Stiamo
parlando di noi.”
“Stai. Stai parlando, io ti ascolto. Quindi inizia...”
“Come vuoi. La verità è che...”
“Perdonami devo andare”
“Ma io ti stavo...”
“...e anche piuttosto bene. Segnati tutto e me lo dici la
prossima volta”
Uscii dal Mood, il locale dove c’eravamo fermati a bere,
mentre alcune improperie tentavano un po’ di ferire il mio animo e un po’ di
grattarmi le orecchie giocando sulla giostra della curiosità così da
costringermi a girarmi. Il mio cuore ha regalato entrambe le orecchi e io
proseguii senza voltarmi.
Salii in macchina e mi diressi verso Skye paesino bucolico
rintanato in Caledonia.
Ero impersonale alla guida. Non un pensiero, non un
sussulto. L’impianto stereo accesso a far girare lo stesso disco d’un tempo che
usciva melodie conosciute ma sempre nuove di gente con troppo stile per vivere
oggi. Intravidi un tabaccaio, accostai e scesi.
“Morgan Blue. Un pacchetto”
“7.50”
“Un pacchetto”
“7 e 50”
“Ah ecco mi pareva d’aver capito male”.
“Sempre 7 e 50 sono”
“A volte una congiunzione fa tutta la differenza.”
Risalii in macchina. Mi accesi un soldatino della morte.
Girai la chiave. Rombo di un potente 1.200 figlio dei suoi tempi. Via nella
nebbia di Sleepy Hollow.
Zucche, rami infestati e addirittura un cavaliere senza
testa per colpa d’una ragazza senza cuore.
Due rotonde. La prima a destra. Sempre dritto. Scendi lungo
il fiume scollinando a sinistra. Dopo Cherrily prendere la terza a destra.
Avanti un chilometro, indietro per mezzo. Un paio di piroette senza buona
spiegazione. Un incrocio. Due curve veloci.
A un certo punto la nebbia infilzata da un’esperienza sensoriale
mai conosciuta prima: un lampione illumina un cartello “Benvenuti a Skye”, la “e”
era monca e il resto del cartello sforacchiato da colpi distratti di dilettanti
impetuosi.
Passai al “Country Jax” per un saluto veloce alla Luisella,
il barista barra tuttofare che ogni valle che si rispetti dovrebbe avere. Per
farsi servire da lui venivano anche dai paesi limitrofi. In realtà si chiamava
Luis, “Ella” gli era stato attaccato per la sua passione verso il genere
femminile scarsamente vestito e privo di remore morali.
Risalii in macchina. Svoltai a destra e poi a sinistra
imboccando un lungo rettilineo che mi portò per la strada dove dovevo andare.
Finalmente ero giunto, la mia meta era la residenza Russelclown, costruita dalla
famiglia del mio fraterno amico Max Iron, di professione costruttore di sogni
ma per il fisco semplice industriale.
Quella sera andava in scena una cena elegante. Oltre a Max e
a me le altre figure amiche presenti
alla serata sarebbero state l’altro amico fraterno Lucius Mellory sociologo
eternamente innamorato delle belle persone (e di George Best). Angus Salamanca
di professione paramedico ma per hobby defibrilla-gente. Gery Belvedoir di
professione qualche cosa di hobby vendicatrice. C’erano anche Penny Salvas
antica fidanzata di Max e la coppia di neo sposini Gianvito Hubner e Carolina
Tittidolce. Carolina era la sorella di Max e Tittidolce solo un soprannome.
Tutte queste figure sarebbero state annacquate e disperse in
un mare di “manlioncini” ovvero tutti gli amici di Carolina così soprannominati
poichè iscritti all’università di “Manlio Sgalambro per persone speciali e che
sanno compiere azioni eccellenti ma solo quando nessuno le vede”.
Nessuno. Nessuno poteva immaginare ciò che quella notte ci
avrebbe riservato ma questo non cambia assolutamente nulla perchè il nostro
destino stava per avverarsi comunque.
Questo è il racconto di ciò che avvenne. Di come tutto sia
cambiato in una notte e di come Empoli - Torino sia effettivamente una partita
senza alcun senso.
Adagiati sul divano nell’appendice del soggiorno che si
affacciava sul salotto vero e proprio, Max e io stavamo guardando Empoli –
Torino. Più che guardare stavamo schiacciando una pennica virile al caldo di
una stufa in pelle di povero mentre un cretino senza apparenti meriti sportivi
urlava parole a caso nel corso di una telecronaca ignorante come quelli che
affermano che la Divina
commedia sia stata scritta dal grande Demetrio Alighieri.
“Ronf”
“Ronf”
“Attenzione salta Cannamozza, mucchio selvaggio, sciabolata
tesa, punto, punto e virgola, due punti e punto a capo. Attenzione.
incredibile, clamoroso, Zappacosta in area di rigore, il tiro, il portiere battuto...fallo
laterale. Fine primo tempo. Nessun tiro in porta ma tante emozioni.”
“Sveglia cialtroni”, l’usignolo cui queste parole verranno
ascritte sull’epitaffio era Carolina che seccata per lo scarso aiuto ricevuto
nella preparazione della cena, desiderava ardentemente, quanto meno, mandarci
di traverso la pennica. Capii subito che dovevo fare qualcosa, in fondo Max era
il padrone di casa mentre io solo un ospite bellissimo (e con una chioma che
aveva fatto innamorare Afrodite stessa), solo un umile, sensibile e
inarrivabile ospite sospinto dalla brezza di un’emozione.
Entrai in cucina, passai il dito sotto il mento di Carolina
e le dissi: “Devi solo muovere quella tua irresistibile boccuccia e dirmi di
che cosa hai bisogno. Sono qui per te”
Senza neanche respirare iniziò a investirmi di richieste
astruse in un dialetto a metà tra il pugliese di un costruttore di trulli e il
napoletano di un cantante da matrimoni “Prenni ‘e’ segg’, accatta ‘o’ tabbl,
prnd apprss qsti iddue e porta allà”.
Le posai un dito su quelle sue labbra disegnate dopo di che
sospirai, inspirai, guardai l’orizzonte, di seguito il mare per poi fottere una
fetta di torta e tornare in salotto a guardare la partita.
Diversi minuti dopo...ormai sazi.
L’orologio segnava le 20 e 30 e Carolina girava per casa con
la stessa serenità di un becchino nel reparto di terapia intensiva. Sapeva che
ormai mancava poco all’andare in scena. La nostra parte della compagnia era
giunta e pronta a passare una buona serata e anche i primi manlioncini
cominciavano ad arrivare. Il primo gruppo era formato da cinque persone ma se
ne presentò solo uno che disse “Sono Rocco, loro i miei fratelli”, poi si
avviarono in salotto saltellando e cantando un musical. Arrivò poi un
agglomerato di qualcosa che dovevano essere donne. Erano circa sei ma non posso
essere più preciso perchè di un paio non saprei dire se fossero persone o
comodini. Due o tre si chiamavano Giorgia con la effe, le restanti erano andate
al televoto per spartirsi i nomi: Regina, Principessa e Catannuzza.
Infine giunse l’ultimo gruppetto formato da altri quattro
uomini di nome: Zefirus, Micio, Tonio e Spark.
Accolsi (e accogliemmo) tutti con candore e simpatia ma
l’atmosfera si guastò quasi subito perchè i nuovi arrivati, subito dopo averci
stretto la mano, ci diedero cinquanta euro a cranio e un bacio sulla fronte.
Max chiamò istantaneamente il sarto. Io la mia cantina di
fiducia. Lucius chiamò il Cern di Ginevra esordendo “Siete tutte delle
magnifiche persone ma sono più ricco di voi”.
La Belvedoir
strizzò gli occhi come Clint Eastwood promettendo una vendetta eterna che
realizzò finendo chiusa nello stanzino con i maschi dei tre gruppi dopo secondi
tre dalla dichiarazione di vendetta. Uscita dallo stanzino spossata ma
soddisfatta per il risultato nessuno ebbe il coraggio di ricordarle o
sottolinearle la pagina dove era esplicitata la definizione di “vendetta”.
Agnus si era rinchiuso in un cassetto della cucina con tutte
le scorte di coca cola della serata. Abbaiava e ringhiava a chiunque tentasse
di avvicinarsi al cassetto. Gianvito, intuito che Carolina era ormai stata
inghiottita dal gruppo di manlioncini, si aggirava tra le pulzelle agitando il
pube e raccontando barzellette sporche “Sei talmente puttana che anche da
sirena troveresti un modo per aprire le gambe”, questa era il suo cavallo di
battaglia. Le pulzelle in tutta risposta avevano minacciato di comprargli la
famiglia e farla sparire in Ucraina, tutte tranne una che sottovoce gli aveva
detto “Delicatissimo. Tra dieci minuti sul ping pong e se non mi sculacci ti
arresto”.
Io nel frattempo mi aggiravo per la proprietà osservando
antiche statue di persone talmente annoiate da esserci rimaste di pietra.
All’urlo “Yè pruntttttttt” di Carolina....niente, non
successe proprio niente poichè nessuno aveva capito.
Quando Max sornione e alla mano ripeté che era pronto, una
parte della tavola si sedette ordinata ma gioviale mentre l’altra si lanciò
escrementi di varia sorta per decidere i posti a tavoli con relativi
commensali. Era un po’ come il gioco delle sedie solo che non c’era la musica e
c’era una sedie per ognuno. Come la vita di questi tempi, senza sale.
A me erano toccati da un lato la Belvedoir e dall’altro
Max che aveva a sua volta Penny, Angus e Gianvito. Lucius era ancora al
telefono col Cern, la telefonata si era incancrenita e li stava minacciando di
andarli a trovare dopo aver affilato per bene i propri tacchetti.
Da quel momento in poi Carolina si trasformò tirando fuori
il meglio di sé prima dal forno e poi dalla cucina per adagiarlo dinnanzi ai
nostri stomaci nuovamente affamati. Torte salate, involtini, pasta riccamente
condita, cotolette e il tutto annaffiato da un buon vino rosso che è sempre
cosa buona e giusta.
Ci stavamo velocemente avvicinando al dolce, Lucius si era
lanciato in una guerra contro la madre del suo dirimpettaio al telefono “Tua
mamma non avvisa quando si fa calare a gambe aperte sopra la torre di Pisa”.
Mancava un’ultima pietanza, un vitello tonnato appositamente preparato da
Carolina che si prese anche al briga di servirlo ad ognuno di noi. Nel
frattempo la Belvedoir
si era lanciata nell’ennesimo racconto di una sua vendetta perpetrata contro un
ignaro lavavetri albanese e così tra una risata e l’altra eravamo rimasti gli
unici a non averlo ancora assaggiato. Gli occhi incarogniti di Carolina ci
indussero a sbrigarci e così tagliammo il vitello e avvicinammo le forchette
alle nostre rispettive lingue quando qualcosa attirò la mia attenzione.
Carolina non stava guardando male me o noi o le statue divenute di pietra,
stava guardando con orrore i suoi amici manlioncini, solo gli uomini, che erano
caduti dalla sedia in preda a delle forti convulsioni. Prima uno e poi l’altro
si rialzarono e capimmo immediatamente che qualcosa era andato storto.
I loro corpi erano ricoperti da un sottile strato di acido
che gli aveva bruciato gli abiti tranne dei sottili brandelli che, grazie al
cielo, coprivano il pube e il fondo schiene. Le loro facce erano ingiallite e
smunte e i loro occhi vitrei e senza vita. Emettevano dei suoni gutturali molto
profondi intervallati da copiosi fili di bava che una volta toccato per terra
avevano iniziato a formare delle pozzanghere sempre più grosse.
Max e io ci guardammo e capimmo subito di cosa si trattava.
Un filo di bava cadde su Carolina che non aveva ancora ben realizzato cosa
stesse succedendo ma che non si trattenne lasciandosi andare a un commento del
tipo “Ma stò scostumato che so’ tre ore che cuscino pettì ‘a’ e me stai ‘a’
sputà tutte cose” non fece in tempo a finire la frase che uno degli infetti le
si gettò addosso. Bava e grida con Carolina che tentava di divincolarsi mentre
bestemmiava qualsiasi Signore potesse o possa esserci. Gianvito si gettò per
aiutarla ma non prima di aver detto “Solo le donne possono sputare, bastardi”.
Come fece per aiutare Carolina ci rendemmo conto che l’orrore non aveva fine.
Gli infetti lasciarono improvvisamente Carolina per abbattersi in branco contro
Gianvito e una volta immobilizzato, lo girarono supino e gli morsero le
natiche. Gianvito che fino a quel momento aveva urlato tentando di divincolarsi
calò in un profondo silenzio. Lui mi guardava mentre io lo vedevo tremare e
trasformarsi. Dopo circa venti secondi, del mio amico Gianvito non c’era più
ombra e gli infetti avevano guadagnato un’unità.
Tornai a guardarmi con Max, avevamo al massimo una decina di
secondi prima che gli infoiati ci caricassero. Avevamo capito che le donne non
le toccavano, non sapevamo il perchè ma questo restringeva di parecchio il
menu. Eravamo rimasti solo Max, Lucius, Angus ed io.
Max e io ci scambiammo un segno d’intesa e poi partimmo
lasciando di stucco il povero Angus ma riuscendo ad afferrare per la collottola
Lucius che ci trascinammo indietro non senza sue lamentele “avrò la mia
vendetta in questa vita o nell’altra”.
Angus era sfortunatamente inciampato dalla seggiola ma non
era comunque intenzionato a separarsi dalla sua scorta di coca cola e così
mentre Belvedoir, Carolina e Penny suonava il violino per un’ultima volta,
Angus si alzò dritto in piedi ed esclamò “Facciamolo”. Tirò una golata di coca
cola che non era coca zero, dopo di che prese una mentos e la buttò nella
bottiglia che richiuse, shakerò e gettò contro
i manlioncini all’urlo di “Fanculo meeeerrrrrrdddeeee”. Si sollevò un’onda
anomala di dimensioni indescrivibili che tolse la vita al povero Angus che
tuttavia sarebbe andato a insegnare agli angeli come si defibrilla la gente in
compagnia di un buon numero di infetti. Ne erano rimasti infatti solo cinque.
Cinque contro tre, ce la potevamo giocare. Insomma io avevo un fegato dei primi
anni ’60, Max era cardiopatico e Lucius non correva da quando aveva avuto la
cacarella a ferragosto ma avevamo almeno una speranza e in quel momento tanto
bastava.
“Come ce la giochiamo”, chiese Max
“Con le spalle ben piantate al muro”, disse Lucius scherzando
fino a un certo punto.
“No ragazzi intanto dobbiamo prenderne uno morto e capire
cosa diavolo gli è successo, se possiamo salvarli e poi dobbiamo trovare un
nascondiglio adeguato. Facciamo così, strappatevi tutti un capello e datemelo,
chi pesca il più corto fa da esca agli assatanati mentre gli altri due
sottraggono il cadavere dalla sala da pranzo.”
“Onesto.”
“Ok, ma a chi tocca ?”, chiese Lucius.
“A te”, risposi io. Ancora oggi non mi perdono di avergli
mentito. In realtà sarebbe toccato a me.
Lucius iniziò ad urlare e a correre intorno alla casa
inseguito da quegli zombie tanto strani che correvano come ragazzi giocondi
liberi a inseguire una libellula in un prato. Max e io svicolammo in sala da
pranzo per recuperare il cadavere. Prendemmo il meno malmesso e ci avviammo per
le scale per raggiungere il nascondiglio sotterraneo sito nella parte più
lontana della casa. Prima di avviarci dovevamo però avvisare Lucius e così mi
sporsi un attimo per vedere in che situazione si trovava. Proprio in quel
momento Lucius scivolò sull’erba bagnata, un tacchetto non aveva retto e lui
era rovinosamente caduto al suolo. Il gruppo gli si gettò sopra e ciò che
rimase di Lucius fu solo un “Cazzo, mi mordono il culo”, prima che anche lui
iniziasse la trasformazione.
Eravamo rimasti Max, io e un cadavere nell’unica stanza
della casa che faceva al nostro caso: la dispensa. Lontana e in solido cemento,
ben protetta e ricca di provviste.
Max aprii un cassetto e tirò fuori un coltello.
“Lo facciamo, sei sicuro ?”, mi chiese.
“Facciamolo. Lo apro io”, gli risposi.
“Più che volentieri” e tirò un sospiro di sollievo.
Iniziai a incidere quella carne fragile e ormai immobile
mentre Max prelevava un po’ di quello strato acido che ricopriva la cute
esterna. Gli organi e la situazione sanitaria generale sembrava normale senza
eccezioni rispetto all’usuale situazione clinica di un paziente di quell’età.
Dove stava l’inghippo, cos’era successo ? perchè quelle persone erano mutate
dopo il vitello tonnato.
La risposta arrivò qualche secondo quando Max finii di
analizzare lo strato di acido prelevato.
“Carolina non dev’essersi lavata le mani e del profumo
dev’essere finito nella maionese mischiandosi e facendola impazzire. Il tutto
deve aver fatto reazione col sangue di chi l’ha mangiato, evidentemente solo
gli uomini.”
“Ma è possibile una cosa del genere ?”, chiesi attonito.
“Se è avvenuto, evidentemente sì”, sentenziò Max.
Sospirammo entrambi e lo facemmo perchè nessuno dei due
aveva la forza di accettare quello che in realtà già sapevamo.
“Siamo fottuti, Max.”
“Sì lo so ma non gli servirò il mio culo su un piatto
d’argento.”
“Senti, esco io e provo a distrarli. Quando il campo è
libero corri fino alla macchina e poi giocatela come puoi.”
“Ma come, perchè tu ? Qui abbiamo scorte per settimane.”
“Sai che non sono uno da attesa, o tutto o niente e subito.
“
Mi abbracciò e ricambiai. Pochi secondi e poi aprii la porta
per uscire fuori. Arrivato in giardino inizia a urlare “Chaneeeeeeeeeeeeeeel
numero 5, J’adoreeeeeeeeeeeeeeeeeeeee”. In un istante furono tutti lì come
bestie inferocite. Iniziai a correre e per i primi due metri e venti centimetri
non ci fu gara. Che prestanza e che ritmo. Poi il mio fegato mi ricordò la sua
data di scadenza e mi accasciai al suolo. La banda rallentò il passo ormai
sicura di aver catturato la propria preda. Nello stesso momento mentre la luce
veniva soppiantata dall’ombra di quei loschi figuri udii la macchina di Max
sgommare e partire. Ormai era finita per me, i cinque, divenuti sei con la
trasformazione di Lucius si piegarono su di me e dopo avermi girato si
apprestarono a morderm...
“Mi ascolti. Visto che siamo qui almeno parliamo...”
“No aspetta Blanche dove siamo ?”
“Ma sei idiota nello stesso posto dov’eri seduto un secondo
fa”
“Incredibile. E il morbo, gli zombie e il culo ?”
“Sei messo peggio di quello che credevo.”
“No davvero è importante, dimmelo.”
“Ma cosa ? cosa devo dirti, stai blaterando, sembri
impazzito.”
Presi il telefono e chiamai in successione Max e Lucius e
poi tutti gli altri. Tutti stavano bene. A quanto pare avevo sognato tutto.
“Ascoltami, devo dirti una sola cosa, una sola e poi
prometto che non mi vedrai più”
“Va bene B, dimmi”
“Finalmente. Allora volevo...”
“B...devo andare”
“No ma dai sei serio ? Sei pazzesco. E dove dovresti andare
?”
“Cazzo ne so”
“E io ?”
“Hai conosciuto milioni di persone. Dimenticatene una.”
Uscii dal bar, La strada, e mi rimisi sulla strada. Stavo
ancora pensando a quello che avevo sognato. A quello che era successo. A quello
che avevo appena sotterrato dietro le mie spalle.
Provavo a sentire, rimanevo in silenzio ma non riuscivo ad
udire niente. Mi diressi all’aeroporto e cercai di comprare il primo biglietto
per Bombay.
“Non esiste più”
Tutti cercano l’America e finiscono in India. Io cerco un’India
che non esiste più e di dove finirò non me ne frega un cazzo.
Fine
JL
JL
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