Portrait




Sono tutt'altro che a un punto fermo della mia vita. Insomma…non ho praticamente alcuna certezza, soprattutto materiale, eppure il mio respiro non accelera il proprio ritmo. Non è presunzione o essere sbruffoni. Non è niente di ciò che non sia, ovvero, che il mio respiro è calmo e imperturbato.
E’ passato quasi un anno dall’ultima volta che mi sono guardato allo specchio riconoscendomi.
Ho completato una perfetta scala cromatica di emozioni e sentimenti, una cerchio di cui anche Giotto sarebbe orgoglioso. Un meraviglioso percorso di auto risveglio.
Ho vissuto dolori dai quali credevo di non potermi risvegliare o dai quali pensavo di non volermi risvegliare. E bestemmiando e stando male mi sono rialzato ogni singolo, fottutissimo, giorno fino a quando svegliarsi non è stato più un peso. Non lo è più stato perché ho capito che non arriverà mai il giorno in cui il dolore si affrancherà dalla mia carne, da ogni singola fibra delle mie ossa e, men che meno, dalla mia anima. E sapete cosa c’è di nuovo ? Finalmente ho imparato, va bene, a volte non si vince, altre ci si ferisce a morte. E’ un monito, è utile…è sopravvivenza.
Voi vi laureate nelle materia più disparate mentre io sto continuando il mio corso di umanità e sopravvivenza. Qualche gin tonic al posto delle lodi ma per lo più sveltine, pugni in faccia e conti da pagare con la mancia in anticipo.
Ho vissuto una serie di epifanie in serie e ahimè, la maggior parte di queste, mi hanno parlato senza curarsi delle mie risposte o dei miei quesiti.
Ho vissuto una buona dose di momenti intensi e ho combinato altrettanti casini. Pare che l’abitudine, la quotidianità, mi schifino quasi quanto io schifi loro. Continuo ad odiare la pace anche se ne ho capito la necessità o l’invocazione. Non dico di averci fatto pace, ma un paio di volte le ho stretto la mano e poi ognuno per la sua, senza rancore.
Sono l’emblema dell’assenza della pace, non sono un genio, non vivrò per sempre ma tutto quel poco che mi sarà dato di capire, devo capirlo lottando e scontrandomi contro la realtà delle cose o di chi le protegge. Si fotta lo status quo.
Ho provato grandi gioie ed estremi dispiaceri. I primi mi hanno disegnato grossi sorrisi, risate piene e mi hanno alleggerito la vita per qualche momento. I secondi mi hanno ricordato che la vita non esiste perché la realtà è che l’uomo può solo esistere e la differenza che sussiste tra di noi risiede nel mero filtro con cui decidiamo di vedere le cose. Questo non vuol negare l’oggettività delle cose ma bensì porre l’accento sul filtro distorsivo che l’emotività rappresenta. Vivere una situazione in maniera gioiosa cambia confini, colori e odori tanto quanto lo farebbero il dolore o il rammarico anche se in realtà quelle stesse cose avrebbero una loro propria definizione e natura che noi non vedremo mai perché non potremo mai essere scevri da noi stessi e quindi puri.
Mi sono affrancato da certe persone. Ad altre ho detto addio, ad alcune arrivederci e ad altre ancora ho detto ben tornate o piacere mio. E da qui non si scappa, le persone sono come i libri: belli, bellissimi, o come la stagioni, incantevoli e meravigliose ma poi si passa al numero successivo. Senza recriminazioni. Senza dolori o ingiurie, semplicemente sospinti dalla fame di novità, di conoscenza, di estendere confini e abbattere ignoranze, una delle poche essenzialità che mi compongano. Se una persona resta nella tua cerchia per sempre, senza mai stancarti, non saprei come definirla, forse famiglia, forse fortuna o magari dose tagliata male.
In un mondo nel quale uno crede a un Dio piuttosto che a un altro in base a dove nasce non m’interessa più di tanto come si faccia a sviscerare verità che potrebbero benissimo non esistere.
Non sono più dov'ero, sono cresciuto, sono cambiato, forse maturato (in certe cose). E' assolutamente vero che devo a tante persone un grazie enorme, la vostra tragedia è stata utile alla mia arte. Alla fine, siamo onesti, non ho mai combinato poi molto, è ho eccelso in molto meno però dalla mia parte ho una predisposizione spiccata alla sopravvivenza e, quelle volte che mi capita di morire, alla resurrezione. Sono ancora acerbo in troppe cose e per molte altre mi sento troppo vecchio. Di fondo, come uno scioglievole tramonto di arancioni e rossi liquidi, la musica tagliente del violino della nostalgia. Un filtro opaco che ricorda ciò che è stato e che è stato vissuto senza una ottimale messa a fuoco, come se non potesse più passare. Francamente non credo sia colpa mia, credo sia condizione umana ed io ne sono solo più impelagato di altri. In questi 26 anni ho dedicato la pressoché totalità del mio tempo e della mia persona alla ricerca e alla comprensione di che cosa voglia dire “vivere” o essere un essere umano. La prima verità che ne ho riavuto è che avvicinarmi ancora un po' mi costerà tutto il resto di quel che mi resta. La seconda verità è che mi va bene così.
Tutto il quadro che mi ritrae approssimativo, ancora accennato o senza fissa dimora od occupazione cozza con l'unica cosa, la più importante, che mi consente di stare qui a scrivere e parlare senza perdere una calma che non m'appartiene in nessun’altra delle cose della vita. Dalla mia parte ho il talento e la non trascurabile consapevolezza che devo ancora affinarmi prima di uscire allo scoperto. Andrà come deve andare in un caso o nell'altro. Ci sono tre vie. Nella prima apri un’attività e diventi un imprenditore di successo. Nella seconda diventi un’artista e porti il tuo messaggio, punto. Nella terza ti metti al servizio delle cose, delle persone, dell’occasione declinata al caso. Ho imboccato la seconda via. A occhi chiusi. Punto.
In fondo Van Gogh in vita non ha venduto un quadro e a chi gli chiedesse il perchè rispondeva mangiandosi i propri colori.
Tempo, Equilibrio e giusta distanza dalle cose.
Non ho niente, tranne passione e talento. Potrebbe anche andarmi di morirci per 'ste due malattie.

Fine
JL


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