Quella volta che andai a letto con una squadra di calcio balilla femminile


Fan culo.
Respiri sempre più corti. Più ravvicinati. Sempre meno carichi d’ossigeno.
Sarei durato ancora poco.
Avvertivo il continuo scricchiolio dei muscoli.
Non importava. Non me ne sarei andato così.
Mi tirai, mentalmente, un calcio nel culo e continuai a correre.
Vidi un vicolo sulla sinistra poco davanti a me. Passai sopra una pozzanghera e continuai a correre. Sentì nuovamente la pozzanghera rompersi non più di una decina di secondi dopo.
Ma chi cazzo avevo alle costole un centometrista ?
Merda. Guadagnavano terreno. A ottanta metri da me c'era una svolta a destra, se fossi riuscito ad imboccarla con un decina di secondi di vantaggio sui miei inseguitori, molto probabilmente me la sarei cavata.
Fan culo !!!
Neanche il tempo di capire cosa fosse successo. Semplicemente le mie gambe gripparono.
Nessun ulteriore attrito dei piedi sul suolo, solo le gambe che si levavano a calciare l'aria.
Incredulo e spaesato le fissai per un istante prima di ricadere pesantemente al suolo perdendo istantaneamente i sensi.


“Sveglia.”
“Ehi ragazze si sta svegliando”
“Sveglia, Ragazzo come stai ?”
“Lasciatelo respirare. Largo, largo.”
“Stai bene giovanotto ?”

Dovevo essere morto, ah già…no.
Mi ricordai che i morti non si potevano svegliare. Avevo un gran mal di testa ma ero ancora vivo. Certo che svegliarsi e sentire come prima parola “giovanotto” ti fa capire che questo è effettivamente un mondo difficile.
Ero ancora pesantemente frastornato, per non dire rincoglionito. Con uno sforzo epico mi misi a sedere.

“Ragazzo tutto bene ?”

“Sì. Direi di sì.”

“Cosa ti è successo ? Stai bene ?”

“Sto...sto..che non ci vedo. Non ricordo cosa mi sia successo ma…fan culo !!! Sono cieco.”

“Calmati, calmati. Hai un bernoccolo dietro alla nuca, è probabile che tu abbia una temporanea perdita della vista. Non ricordi cosa stessi facendo prima di perdere i sensi.”

“No, non ricordo niente. Ehi ma aspetta...”

“Sì...”

“Io...Io vi sento. Sto parlando con te, non ti vedo ma avverto la presenza di altre sei donne almeno. Riesco a sentire che non ci sono salsicce in questa stanza. Io...io vi sento”

“Bene. Tra poco dovrebbe tornarti la vista, o almeno questo è quello che ci ha detto la nostra dottoressa.”

“Dottoressa ?”

“Ah già scusami che sbadata. Mi chiamo Pina Sinalefe e sono la capitana della squadra di calcetto balilla femminile: "C. F. T. A. Twiga" .”

“Devo aver battuto la testa più forte del previsto, per un attimo ho capito che voi faceste parte di una squadra di calcio balilla.”

“Infatti è così.”

“Ma il calcio balilla non è un fottuto gioco da esseri umani. Lo giocano dei pupazzi e soprattutto non hanno delle fottutissime braccia.”

“Bhè allora sarai contento di sapere che invece è praticabile anche dagli esseri umani, in questo caso noi donne. Che abbiamo tutto ciò che ci rende tali e che, però in effetti hai ragione, non abbiamo le braccia. Ma io non farei il puntiglioso visto che sei cieco.”

“Ma che diavolo di discorso è. Facciamo una gara tra handicappati ?“

“No, era per dire...”

“Era per dire una stronzata. Astieniti e tappati quel buco dentato...Ops, scusa.”

“Tranquillo...Non sei il primo che ci giudica a priori per quello che vede...Ops, scusa.”

“No, cioè, ma sei simpatica. Battimi un cinque.”

“Certo, appena finiamo di giocare a mosca cieca.”

“Sicuro ma non prima di un bel braccio di ferro…”

“…O di una bella partita a freccette.”

“Pina mi stai già sul cazzo.”

“Pff. Sono talmente superiore che non ti vedo neanche.”

“Ma la vuoi piantare brutta babbea ? Posso ricordarti che sei una fottutissima donna senza braccia che gioca a calcio balilla. Cosa fai il portiere ?”

“Wow. Da cosa l’hai capito ?”

“Ma sei seria ?”

“Certo.”

“O mio Dio. Lo sapevo, cazzo, lo sapevo. Ci sono cose molto peggiori della morte. Essere attorniato da paracappati schizzo frenici è una di queste.”

Mi calmai e cercai di riportare l’ordine (Io che riportavo l’ordine…doveva proprio essere un fottuto sogno irreale).

“Vabbè Pina passiamo oltre. Senti ma come ci sono arrivato qui ?”

“Eravamo in pullman e stavamo partendo con destinazione Bastardò, un ridente paesino in provincia di Perugia dove quest’anno si terrà il famoso torneo:“La Manita”.
Dopo pochi minuti di viaggio la nostra attaccante Katherine J Junior ti ha visto dal finestrino e così ti abbiamo raccattato. Hai dormito per tutto il viaggio. Il resto della storia lo conosci…”

-Partecipavano al torneo La Manita. Io devo conoscere quel fottuto organizzatore che ha dato un nome del genere ad un torneo di monchi. Un cazzutissimo genio-
Mi calmai e sorvolai sulla questione cercando di capire cosa diavolo mi fosse successo. Mentre stavo per modulare una frase Pina m’interruppe.

“Allora io sono il portiere ed il capitano della squadra, permettimi di presentarti gli altri membri di questo prestigioso team.”

Feci buon viso a cattivo gioco:”Ci mancherebbe…Chiedo scusa se non vi stringerò la mano.”

“Fai poco il simpatico Bocelli. Comunque iniziamo dagli organi istituzionali: quella signora che non vedi ma che si trova sulla tua destra in fondo alla stanza si chiama: Ciaccia Mckenzie ed è la presidentessa del nostro club. Di fianco a lei si trova: Moretta “Siringa”  Mckaine la nostra dottoressa. Intorno a te invece si trovano le silenziose ed eccessivamente arrapate compagne di squadra. Ci sono le due centrali di difesa: Ilona Gnocchemburg e Mula Dolorean. Le due terzine: Giacobba Favalunga (già dal nome intuì che non c’era da fidarsi) e Pene Lope. Come non presentarti, poi, le nostre quattro centrocampiste: Joanna “Ringhia” Sticiufoli, Marta “Hermitage” Mertesacker, Andrea da Pirla e Ballera Ballerina. Concludo con le nostre due attaccanti: Katherine J Junior e Impallina la Fagiana. Oh mio Dio per poco non mi dimenticavo, la signora che ti sta dietro è la nostra allenatrice nonché ex-pluridecorata compagna: Amandiella Tiffana.
Me già mi conosci, adesso credo sia il tuo turno di presentarti.”

“Credo anch’io. Mi chiamo Enrique “Free” Trucebaldazzi, nella vita mi occupo di animali. Per essere precisi il mio lavoro è quello di girovagare tra la Romania e la Birmania in cerca di creature particolari, sconosciute o aberranti risultati di esperimenti umani. Non posso dirvi molto di più perché…perché…”

“…Sei riservato ?
…Ti vergogni ?
…Hai mal di testa ?”

“No, no, no….maledette babbe è mezz’ora che vi dico che non ricordo una cippa bollita.”

Pina riprese la parola.

“Ok, calma mio giovane amico. Fino a quando non avrai riacquistato la vista noi saremo per te come un cane anti droga per un cieco. Adesso seguimi, ti mostro la tua stanza.”

“Ero a posto. La merda in quel momento mi sembrava come una Jacuzzi con lo champagne. Potevo fare poco comunque, e non amando  piangermi addosso afferrai il braccio…ops...la spalla di Pina e mi feci trascinare verso la mia stanza.”


Ripresi conoscenza diverse ore dopo.
Lo capì perché…
In effetti non capì proprio un  bel cazzo di niente. Inconsciamente volevo fosse sera. E difatti una voce si affrettò ad informarmi che erano le nove del fottuto mattino. Provai ad interloquire con la voce ma da essa non giunse nessuna ulteriore risposta. Già stavo cristando con Barba Bianca quando la serratura della porta scattò e Pina fece capolino nella mia stanza.

“Buongiorno.”

“Ciao Bionda come và ?”

“Intanto non sono bionda…”

“Intanto io sono cieco. Bionda è un modo di dire. Dai non essere così pesante. Pina, diamo un senso alla giornata, che nuove mi porti ?”

“Ascolta scappato da casa, se vuoi interloquire con me sarà meglio che tu faccia conoscenza del rispetto.”

“Mi spiace…solo donne”

“Sei uno zoticone.”

“E tu sei senza braccia.”

“Urghhh piantala.”

“Io posso.”

“Fare cosa ?”

“Piantarla…vedi ho le braccia.”

“Adesso vedrai..”

E mi si buttò addosso.

Tentò di colpirmi con svariati calci volanti e testate. Dal canto mio non capivo come non riuscisse a colpirmi data la mia cecità.
Poi, in un attimo, l’imponderabile.
Si vede che la cecità mi aveva consentito di affinare i miei sensi.
Ora il mio bastone otre che universale mezzo di piacere fisico era anche un’eccezionale arma di difesa contro i paracappati molesti.
Più colpiva forte e più rimbalzava sul mio grande glande. Più tirava calci e più le nervature del mio bigolo si rafforzavano. Non lo vedevo ma ormai doveva aver assunto le dimensioni del membro di Junior di Dragonball.
I minuti passavano e la rabbia che animava quella donna non accennava a diminuire. Così affilai l’udito. Riuscivo a percepire ogni spostamento d’aria.
Non persi la calma ed aspettai che abbassasse la guardia per poterla colpire.
Le tirai una testata clamorosa che la gettò a svariati metri di stanza sul pavimento in posizione supina.
Dopo di che, mi avvicinai a lei barcollando meno di quello che avrei pensato.
Le posai un dito sulle labbra e le sussurrai:”Devi solo chiudere quella tua boccuccia. Dai stampa uno zuccheroso allo zio Enrique”.
A metà tra l’incontrollabile eccitazione provocata dalla parola “zuccheroso” ed il disgusto per il viscidume della frase nel suo complesso, riuscii tuttavia a raggiungere il mio scopo: Pina mi si stava facendo.
Più me la facevo e meglio la conoscevo. Così baciandola capì che aveva un bocca affusolata e lunga come quella di Julia Roberts e brindai agli Dei per questo dono eccezionale. La baciai sul collo, che era liscio e sinuoso e portava ad un seno prosperoso ma non eccessivo con due belle ciliegine che salutavano ballonzolando come in preda ad una sbornia. Passai le mani sulla sua schiena liscia e lunga e accarezzai in diverse circostanze il suo bel sedere sodo. Aveva due belle gambe affusolate che correvano giù fino ai piedi. Io odio i piedi. I piedi sono delle brutte persone e le brutte persone si sa o sono cavali o sono scope o sono cinciallegre….a volte tavolette di ribes…Aniway il concetto è: che i piedi sono i miei antichi nemici e quindi non ne parlo.
Passammo svariate ore a svarionare, svarionando da un punto all’altro della stanza. Fu fantastico quando facemmo la pecorina a testa giù in posizione fetale incrociata mentre lei recitava l’alfabeto greco al contrario ed io la circumnavigavo. Quella sì che fu bella.
Finito il tutto, con il mio pene distrutto che si esprimeva in aramaico, ebbi anche modo di conoscere la Pina donna e non personaggio. Questa era una donna sensibile con una rigida educazione cattolica che nel nostro incontro avevo captato solo in parte. In effetti era particolarmente brava ad inginocchiarsi. Era una donna di una sensibilità e di una responsabilità davvero incommensurabili. Lei mi aprì il suo cuore –oltre al resto- ed io in cambio mi feci aprire il suo cuore e le diedi attenzione. Pina era una di quelle donne che dopo l’amore ti abbracciava e ti faceva le coccole. Pina non chiedeva niente. Con Pina era stato bello. Avrebbe sicuramente avuto una pagina positiva nel diario delle mie conquiste. Pina, dopo parecchio tempo, fu la prima donna a farmi sentire inadeguato. Il suo modo di porgersi nei miei confronti il suo dare senza chiedere. Il sorriso spontaneo che aveva nell’accudirmi mi facevano sentire a disagio, non in colpa ma, tuttavia, a disagio. Sapevo che sarei potuto essere felice o per lo meno placarmi per un po’con lei ma a costo di bruciare nelle fiamme dovevo andare avanti.
Così mentre dormiva, presi la difficile decisione: mi voltai e dormii anch’io.
Il giorno dopo non trovai Pina di fianco a me, tuttavia sentii un piacevole torpore percuotere il mio argano. Ecco dov’eri Pinuccia Bella. Amavo quella donna…e lei aveva imparato a conoscermi perfettamente nel giro di una notte. Così misi le braccia incrociate dietro alla testa e mentre Paolo Trombini del Tg5 leggeva i titoli azionari io mi facevo fare dell’ottimo stretching.

Dovevo finirla. Più dolore uguale meno dolore. Così abbracciai Pina, le appoggiai la testa contro la spalla e le dissi: “Pina sei stata come una sorella per me ma è tempo che vada. Sospetto che al mondo ci sia altro oltre ad essere belli belli belli in modo assurdo, ed io voglio capire cos’è. Tu vai avanti e dimenticati di me. Sono sicuro che ce la farai. Non ti scorderò mai, tu mi hai salvato Francesca.”

“Ma veramente io sono…”

“Ero già fuori dalla stanza e non riuscii mai a sentire cosa diavolo volesse da me….cosa lì…come si chiama….bhè insomma avete capito.”
Ero già fuori dalla mia stanza e dentro nella stanza dell’allenatrice. Ero un uomo che amava le gerarchie e dopo la capitana non potevo farmi mancare l’allenatrice. Così con la promessa di farle vedere, un giorno, la mia collezione di draghi di komodo tirai fuori il mio transformer. Signore, grazie di aver inventato il fischietto. Quella donna aveva due fottuti polmoni che la Pellegrini in confronto aveva l’asma. Insomma discutemmo di schemi e movimenti sulle fasce. Lei insisteva affinché si usasse un 4-4-2 che garantiva copertura, mentre io voglioso come un paguro optavo invece per un voluttuoso 4-2-3-1. Ebbi ragione io e dai commenti post-match non si lamentò neanche lei.

 Il tempo trascorreva placido in compagnia della squadra. Mi avevano spiegato che l’acronimo: “C.F.T.A. TWIGA” stava per: “Cazzo figa tutti al Twiga”. Era un club nato in ricordo di un’amica delle giocatrici, tale: Faipoco la Twiga. Questa era una ragazza dei Pirenei, anch’essa giocatrice di calcio balilla, che fu accidentalmente decapitata da una pallina. Una storia incredibilmente triste. Detto ciò il tempo passava placido. Erano già un paio di giorni che stavo in loro compagnia ed avevo fatto il pieno di avventure. Avevo preso a testate una giocatrice avversaria che si chiamava Imene Menny. La sera stessa, inoltre, io e le altre ragazze le avevamo cagato a sfregio nello spogliatoio. Il motivo ? Sano nonnismo. Inoltre avevo ricevuto una mezza denuncia per aver pisciato su una palma nel museo di botanica. Vai tu a far capire ai potenti tutori della legge che ero in condizioni di eccessiva difficoltà dopo essere uscito dalla festa:“Guarda se non bestemmio…”. La festa del secolo, organizzata per celebrare la millesima telecronaca del famoso Germano Mosconi.
Per concludere in bellezza ero stato investito sempre da quella giocatrice a cui avevo cagato a sfregio nello spogliatoio. Per non farmi mancare niente mi ero anche fatto la presidentessa, la dottoressa e la stregona della squadra.
Mi trovavo nella mia stanza a riempire dei Ringo con lo sperma, quando sentii bussare alla porta.
Chiesto chi fosse e ascoltata la risposta delle due (presidentessa e dottoressa) aprii.  
Sorpresa. Insieme a loro c’era una terza donna che non conoscevo. Prima che potessi palesare la mia sorpresa fu lei stessa a presentarsi.

“Piacere, mi chiamo Quaglia Saltalaquaglia sono la sacerdotessa della squadra.”

Finiti i convenevoli mi spiegheranno che con una banale scusa (erano in lutto per l’estinzione dei brontosauri) erano riuscite a far uscire le altre, trovandosi così da sole con me. Mi confessarono poi, che avevano il segreto desiderio di giocare a butta dentro e sbandiera il fuori gioco.
Decisi che avrei potuto dedicarmi ai Ringo più tardi, così con la mia bandierina sull’attenti le accontentai. Furono in effetti momenti divertenti a parte quando la sacerdotessa -palesemente sotto l’effetto di oppiacei invecchiati- tentò di infilarmi un bastone (modello Rafichi del Re Leone) nel culo con la scusa di liberarmi dai miei demoni. Quello fu il segno che aspettavo, defenestrai tutte e tre liberandomi così dalla loro presenza. L’unica cosa che ormai mi inquietava.
Con nessuna di loro tre: né separatamente, né insieme avevo provato niente di paragonabile a ciò che avevo sentito per Pina e la cosa mi fece riflettere almeno per cinque secondi di fila, il tempo di infilarmi nell’idromassaggio per un po’di meritato riposo. Se avessi saputo prima che le giocatrici di calcio balilla erano così europee nelle loro manifestazioni, mi sarei accecato o strappato le braccia molto tempo prima.

Ormai non parlavamo più di giorni. Le settimane s’inseguivano stancamente. La squadra mieteva larghe vittorie ed io continuavo a mostrare lo scettro a destra e manca. Nessuno poteva lamentarsi eppure qualcosa iniziava a stonare. Mi ero fatto l’intera dirigenza più la portiera della mia squadra e almeno altre tre squadre complete, eppure ero insoddisfatto. Vincevo in maniera troppo facile e la vista non era ancora tornata. Neanche defecare a tradimento nelle scarpe degli arbitri mi dava più soddisfazioni.
Un giorno poi, accadde un miracolo paragonabile solo a quella volta che dalla nebbia uscì l’autogrill di Sondrio ed io mangiai un Camogli eccezionalmente buono.
Non avrei pensato di farcela quella volta ed invece. Camogli Lucano panino vero.
Comunque…ero nella sala relax che ascoltavo alla radio le pagelle delle ragazze, quando i miei occhi vennero abbagliati da un istante di luce accecante.
Strano pensai, un cieco che viene acciecato, poi realizzai: il fascio di luce proveniva dai miei stessi occhi.
Iniziai a piangere….Per la gioia mi ero alzato in piedi di scatto ma non avendo ancora recuperato del tutto la vista ero andato a sbattere contro il muro.

Due ore dopo ero tornato a vederci completamente.

Non mi rimaneva molto tempo, non che avessi chissà quale impegno, tuttavia mi ero stancato di quella vita. La mia anima randagia insisteva ogni giorno di più affinché io tornassi a fare il nomade. Mancare di rispetto alla mia anima era l’unica colpa di cui non volevo macchiarmi.
Feci quindi un patto: tre giorni ancora e poi sarei sparito.
All’appello mancava ancora il reparto difensivo –portiere esclusa-, tutto il centrocampo e l’attacco.
Così quella sera inizia con la difesa.
Dopo mangiato mentre le ragazze giocavano a carte -cosa particolarmente ilare poiché le tenevano in bocca e al contempo dovevano esprimersi- ne chiamai una alla volta.

Iniziai con le due centrali. Mula Dolorean era figlia di un capo indiano e di una scrittrice armena. Era di colore incerto, a metà tra il rosso sfuocato ed il marrone nocciola valdostana. L’avevo soprannominata Mustang perché a letto era una discreta cavalla pazza. A differenza di quando era in campo dove, come libero non faceva passare niente, con me fu particolarmente aperta a valutare nuove angolazioni su svariate questioni. Quanto amavo il sesso senza senso, senza parole…senza niente se non la voglia di stare insieme e fare qualcosa di buono. Quasi sempre le cose buone non richiedono parole.
Concluso con Mustang era il turno di Ilona Gnocchenburg. Errore incredibile.
Ilona Gnocchenburg come suggerisce il nome era figlia di un ex nazista, un addestratore di pastori tedeschi e gufi trevigiani. Diciamo che l’apertura mentale non era il suo miglior pregio. Detto ciò intendiamoci vaccona di prima scelta. Quando mi cavalcava sentivo le Valchirie. E’ proprio vero che certe cose così come le fanno i crucchi non le fa nessuno. Aveva solo un unico problema: rideva come un maiale. Quando fu il momento: eiaculo spartano lei per poco non si strozzò con il mio sperma ed io riuscì solo a riderle in faccia per i suoni inconsulti che le uscivano dalla bocca.

Dei due terzini: Giacobba Favalunga e Pene Lope non voglio neanche parlare.
Dopo i due centrali ero oggettivamente devastato, così scesi in cucina per farmi un panino.
Giunto nel locale vidi queste due debosciate che, completamente nude, si passavno fiorentine sanguinolenti in posti inenarrabili. Oltretutto, ammiccando, mi dicevano:”Dai, vienici a sfilettare il filetto. Tritaci come nessuno ha mai fatto”.  Insomma non capivo se stavo per scoparmi due donne senza braccia o la reincarnazione dello Chef Tony.
Comunque potete ben immaginare come andò a finire. Diciamo che dopo quella sera iniziai a mangiare fuori.

Il giorno dopo venni svegliato da del baccano proveniente dal corridoio.
Era tardi, evidentemente, sfatto dopo le svariate performance e dopo l’eccessivo uso di: droghe, alcol, steroidi vegetali, actimel ed activia col bifidus acti regularis avevo dormito per quasi 24 ore.
Uscito dalla stanza mi accorsi che c’erano sei giocatrici dinnanzi a me. Con tempo e fatica riuscì a capire chi diavolo fossero. Erano le quattro centrocampiste e le due attaccanti.
Ero del tutto rincoglionito ed innervosito. Comunque feci un grosso sforzo e chiesi loro cosa diavolo volessero dalla mia putrida carcassa.
Joanna “Ringhia” Sticiuffoli, quella che silenziosamente si era auto eletta come portavoce iniziò ad urlarmi in faccia che: la vita era adesso, che una rondine non faceva primavera, che erano donne anche loro, che non ci si comportava in quel modo. Che non capivano il perché del mio atteggiamento, che c’erano rimaste male….bla bla bla
Io avevo smesso di ascoltare da: “Iniziò a dirmi in faccia…”
Comunque per evitare una crisi diplomatica ed ulteriori litigi, le chiesi di dirmi in maniera franca cosa diavolo desiderassero o in che modo potessi mai sdebitarmi.
La ragazza parlottò per qualche secondo con le amiche…
La richiesta -essendo l’unico maschio della compagnia- potete immaginarla.
Sorrisi loro mentre pensavo che tanto casino per un cazzo era davvero un paradosso.
Le feci accomodare in camera mia ed offrì loro una caraffa a testa di Jack e Coca un'antica bevanda delle divinità pagane acquatiche e marine. Dopo un paio d’ore, marci come neanche Poppo Pio il pulcino blasfemo, iniziammo con la nostra serie di giochi piccanti. Giocammo a Faccia di Pietra, a Superman e allo Stincky Gonzalez.
Chi non ha mai giocato a faccia di pietra. Un gioco di un’insulsaggine megagalattica. Praticamente il gioco consisteva in più uomini seduti attorno ad un tavolo mentre una ragazza sotto il tavolo sceglieva a quale dei ragazzi praticare del sesso orale. Il prescelto ovviamente non doveva far capire agl’altri che si stava facendo fare un mega Clinton. Ora fatevi due conti: loro erano in sei ed io da solo. Vincevo perennemente. La bellezza del gioco stava anche nelle contrattazioni:”Oh però vieni fuori” e lì l’uomo rispondeva con la voce di Bruno Pizzul:” Eeeeooo è tutto molto bello, sì sì certo fidati di meeeeee”.
Ovviamente mai fidarsi di un ragazzo che parla con la voce di Bruno Pizzul.
Il Superman invece è un gioco un po’ più spinto. Durante il rapporto sessuale quando ci si accorge che la fine è inevitabile si eiacula sulle spalle della compagna -ovviamente a tradimento- gettandola poi sulle lenzuola. Quando questa si rialzerà avrà le lenzuola attaccate alla schiena dando vita ad un’irresistibile imitazione di Superman. Lo Stincky Gonzalez è il fottuto non plus ultra dei giochi zozzi. Consiste nel appoggiare il castoro del signore A nell’ano della signora B. Dopo di che girarsi e disegnare due bei baffoni da messicano sulla faccia della signora, certificando il tutto con una bella cazzata in testa -stile D.O.P-.
E diavolo di un cane, quelli si che erano giochi, mi ricordo quando me li avevano insegnati in Romania mentre cacciavo draghi. Gran periodo quello.

Il sole entrava nella mia stanza dalla finestra bagnandomi leggermente il viso. Disintegrato nel corpo e nella mente tentai di crearmi nuovamente una notte artificiale ma non riuscendoci mi feci portare in camera la colazione del campione: caffè extra power e dodici pasticche diverse contro il mal di testa.
Ero in bagno a fare toilette, non volevo pensarci ma mi era impossibile scappare: i tre giorni erano passati. Feci la mia sacca infilandoci le quattro cose che mi erano rimaste. Sistemata la stanza, presi carta e penna e buttai giù quattro righe:

” Nel corso di quella che in molti si ostinano a definire vita, ho conosciuto moltissime persone,
quasi tutte, che avevano trovato quello che cercavano. La loro risposta al mondo o forse la loro ricetta per la felicità. Crescendo ho capito che ciò che mi differenziava da quelle persone era l’equilibrio. Nel corso della mia storia l’equilibrio non è l’unica cosa che mi sia mancata ma è l’unica di cui abbia sentito la mancanza. Ho passato un periodo fantastico con voi e non posso far altro che ringraziarvi. Una volta di più mi avete dimostrato perché una donna, anche senza braccia, vale mille volte più di un uomo. Voi avete il dono dell’affetto, del saper stare vicino, dal sapervi prendere cura di un’altra persona. Un dono che non ha prezzo. Con voi ho ritrovato la vista e moltissimi attimi impagabili; quindi: grazie.
Non avendo equilibrio mi capita spesso di stancarmi e di stancare gli altri, ma soprattutto di sentire l’esigenza di: viaggiare, scrivere e sfogliare luoghi e persone più che posso finchè il mio spirito ed il mio fisico me lo permettono. Non voglio lasciarvi con una seria di speranze ed auguri poiché questi si fanno quando un qualcosa non dipende dalla nostra volontà.
Quindi andate e spaccate il culo a tutti ma soprattutto abbiate la voglia di rompervi sempre i coglioni per essere dei numeri uno se non altro per voi stesse.

Con infinito affetto
Vi abbraccio tutte….ops…Vi stringo…ops….Vi saluto calorosamente
Enrique.

Lasciai questa lettera sotto lo porta di Pina la prima che mi avesse accolto…-in tutti i sensi-.
Inforcai i miei Ray Ban, infilai le cuffiette dell’ipod che la stessa Pina mi aveva regalato. Partì una canzone che parlava dei ricordi di una serata di festa. Scroccai un passaggio ad un allevatore botswano di cinciallegre che non mi spiegò mai cosa ci facesse in provincia di Perugia.
Il sole mi veniva incontro per poi farsi superare. Cominciava la notte, l’oscurità. Mi feci inghiottire senza paura. Vuol dire che giocheremo a Faccia di pietra al buio.

Chi sono io ?
L’uomo che si è scopato una squadra di calcio balilla femminile.
Quando parlate di me datemi del: Capitano (o capitone).


Ps: Chi erano i famosi inseguitori all’inizio della storia ? Gli equilibrati equilibristi del Cirque du soleil.

Fine
JL




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