Queste gioie violente, hanno violenta fine...Desiderio + passione + bruciare


“…Queste gioie violente, hanno violenta fine…”

Erano le 3 e 33 di un freddo pomeriggio di dicembre, in un periodo che fu, durante un anno che è stato.
Erano le 3 e 33 ed io me ne stavo fuori al freddo, a Milano, su di una panchina. Una tra molte, ma era mia, ci ero seduto, ci stavo scrivendo, la stavo sentendo. Eravamo un tutt’uno: io, il freddo e la panchina.
Stavo scrivendo dell’amore, della vendetta, della disperazione e della passione. Del primo parlavo a mano libera, non credendoci. Degli altri parlavo per esperienza. Parlavo della mia sgangherata esistenza, non vita ma essenza, non tempo ma attimo, secondo mai domo.
Il bicchiere era di fianco a me, lucido nel grigiore che faceva da cornice. Brillava mentre cubetti di ghiaccio giocavano a fare gli iceberg. 3/4 di Jack ed 1/4 di coca, era così facile, era così diretto. Dalla bocca allo stomaco, dal cervello all’anima.
Sorsata dopo sorsata il livello nel bicchiere calava, ed io abbandonavo gli ultimi brandelli di umanità che la carne cucitami addosso mi imponeva.
Ultima sorsata, ultimo impulso dalla carne allo spirito. Ultima sensazione di amaro e dolce. Ultima…
Chiusi gli occhi, un secondo, un istante..un attimo. Li riaprì dopo averli strizzati in risposta alla sferzata di piacere che quel fluido procurava alla mia carcassa putrida e malconcia. Li riaprì e non ero più in un parco qualsiasi. Non ero più a Milano. Ma ero sempre la stessa fottuta creatura, con le sue regole e le sue pecche. Sempre la solita anima del cazzo in cerca di folgoranti e scoppiettanti attimi da bruciare e da cui farsi bruciare.
Riaprì gli occhi.
Intorno a me il nulla. Una cornice, grigia, di niente. Una cornice di luce grigia, una cornice ed una prigione senza sbarre né guardie, senza orologi né pasti. Senza secondini né giudici. Una cornice per la mia mente, per il mio spirito e per la mia flaccida carne immaginifica.
Mi guardavo attorno distrattamente, cercando non tanto di capire, quanto di carpire il maggior numero di sensazioni e sfumature possibili.
Girovagavano i miei occhi, girovagava la mia mente. Barcollava il mio corpo, s’innalzava lo spirito. No ahaha, quello no…forse avevo un’anima, forse no…Forse mi piaceva crederlo o forse no…forse lei c’era,  ed io invece no..forse…
Scrutavo  e sentivo, scrutavo e sentivo.
Da un punto imprecisato della cornice, una donna fece capolino. Non la sognai, né la immaginai, era proprio lei, una donna. Non aveva colori né altezza, non aveva fisicità né peso, non aveva niente per cui io avrei potuto riconoscerla, o sorriderle. Niente per cui incazzarmi o avere una qual si voglia reazione. Niente, eppure nel niente il principio, nella fine l’inizio, nel nulla il tutto, nella cieca disperazione la felicità.
La guardai, veramente. La guardai con gli occhi e l’attenzione pari a quelli di un bambino che per la prima volta scorge il viso della madre. Esattamente come lui non sapevo cosa sarebbe accaduto un decimo di secondo dopo, non speravo né aspettavo. Guardavo e sentivo.
Lei mi si avvicinò. Mi diede uno schiaffo poi una carezza, infine un sorriso..amaro.
Sentì lo schiaffo rimbombarmi dentro come una cassa acustica. La carne molle e fragile ballonzolava, lo spirito sferzato allertava i suoi miseri sensi.
Il sorriso, poi. Quel sorriso sarebbe stata la mia fine, quella carezza il mio pasto e la mia acqua.
Lei, in fronte a me, mi scrutò gli occhi. Non tentai di nasconderle niente, poiché niente avevo. Lei non tentò di capire, poiché niente c’era da capire. Un suo dito, fine e leggiadro sfiorò la mia mano. Avvertì distintamente una scossa.
Mi avvicinai.
Le fasciai la schiena tra le mie mani. Poi un abbraccio. Le posai la testa sul collo, ad odorare i capelli ed il suo profumo tutto. Posai la testa, in cerca del suo calore, non della sua pace.
Lei di risposta posò la sua contro il mio petto, in silenzio, senza rovinare niente, abbracciando quel tutto che nasceva dal niente.
Ci stavamo muovendo. Le nostre falcate non erano veloci né aggraziate. Semplicemente non erano falcate. Non eravamo noi a muoverci ma la cornice. Lei appoggiata a me, io ancorato a lei.
Tutti i concetti che per anni avevo affrontato, in quel momento contavano meno di niente. Eravamo io e lei. Eravamo materia e antimateria, eravamo tutto e niente. Eravamo, oppure no, ma non eravamo un forse.
Eravamo o non eravamo.
Iniziammo a muoverci, iniziammo a ballare sopra il mondo lontano dal paradiso ma col calore dell’inferno che riecheggiava nelle mie membra, voglioso di possedermi eternamente. Mi dispiace, bruciami tutto, ti prego bruciami o inferno. Ma non mi avrai mai, ancora, almeno per un po’..adesso.
Ballavamo e lei mi guardava, io la guardavo e vedevo..non vedevo niente. Nessuno dei miei stra maledettissimi sensi, mi aiutava, come sempre del resto. Ma sentivo, nella carne e in tutto ciò che potevo avere. La sentivo, la percepivo. Riuscivo a vederla.
Non c’era musica, c’era lo scorrere del tutto, il passare del niente, il ritmo del cuore che pulsava.
Lei si irrigidì e mi guardò. Io la ricambiai, senza fiatare. Aveva uno sguardo strano. Due fessurine. Due finestre colorate, di sfumature che né io né gli esseri umani conoscevamo.
Le accarezzai dietro l’orecchio. Avvicinai le mie labbra, il mio odore e quella che potrei definire come: mia essenza, se solo ne avessi una… La mia mano scivolò sul suo volta, l’altra affondò nei suoi capelli, lungo la schiena e sul suo ventre. Premetti le mie labbra contro le sue. Tutto il desiderio, tutto ciò che non capivo, tutto ciò che ero, tutto ciò che sapevo, tutto e niente. Le mie labbra, fredde e gelide trovarono risposta nelle sue. Rosee e morbide, lascive e passionali. Eterne ed angeliche nel loro pizzico di dannazione.
Quelle labbra mi rispondevano. Rispondevano alle mie,  in maniera troppo maggiore rispetto a quello che le mie stesse, avevano e avrebbero mai saputo fare, o conosciuto.
Era perfetto…No !!! Era bellissimo…No !!! Eravamo io e lei, cullati nel vuoto di tutto. Eravamo io e lei,  sulla soglia dell’uscita di servizio dal niente e dal tutto.
Le mie labbra, sempre più voraci ed incontentabili, premevano sulle sue. Lei rispondeva affondando le mani nei miei fianchi, passandole tra i miei capelli, e premendo tutto il suo corpo contro il mio. Sentivo il suo cuore duettare col mio. La sentivo avvolgersi a me. Sentivo la sua anima, sincerarsi se ne esistesse una mia e che fine, questa ipotetica, avesse fatto.
Il bacio finì. Lei mi accarezzò e si staccò.
Due passi indietro, non di più, lo giuro. Era come averla persa per sempre. Se solo avessi saputo cosa volevano dire le parole perdere e per sempre. Se solo avessi saputo..se solo..fan culo.
Mi guardò in maniera severa, ma allo stesso tempo, compassionevole. Detestavo la compassione, non la cercavo, non la volevo, né tanto meno la meritavo.
Lei bloccò i miei pensieri e disse: “ Spiegami…m’interessa sapere” Le risposi seccamente e con un sorriso amaro: “ Non c’è niente da sapere, non si parla mai, soprattutto di me. E comunque, tu di me, sai già tutto”. Non fece espressioni, non cambiò posizione, non si mosse.
“Io ti vedo” mi disse, e continuò: “spiegami perché ? Spiegami chi sei, parlami adesso. Parlami di te, di tutto e di niente, di ciò che senti”.
Io per la prima volta piangevo. Non avevo espressioni, né colore, né odore. Piangevo. Sentivo lacrime dolci ed amare, sentivo coltelli che scorrevano tagliando la mia faccia e la mia carne arrivando a tutto ciò che mi aveva costituito, che rappresentavo, che ero. Piangevo ed il sapore salato di quelle lacrime, non cambiò di una virgola quello che ero. Non ero più libero, né migliore. Non c’era pace né redenzione. C’era solo il salato, ma a quanto pare, mancava persino quel fottuto secondo di dolce. Non mi vergognavo, né avevo paura. Non asciugai le lacrime, memore di quello che un giorno mi disse una persona cara. Questa persona, di un tempo che fu, mi prese la mano e mi disse: “ Non ti dirò di non piangere, perché non sempre ci si deve astenere dal farlo. Senti te stesso”
Sorridevo al ricordo….parole di un tempo che fu. Parole calde come un abbraccio e stupide come un arcobaleno, parole che sbiadiscono col tempo, con lo scorrere incessante. Con la rabbia e la gioia. Come il dolce e l’amaro.
Comunque.
Il sapore di salato ancora in bocca. Le mie mani, salde in tasca, anzi non più. Sfilai una Marlboro e me l’accesi. Tirai una boccata. Che sapore…che male, che bene…che Marlboro.
La guardai, dentro di me l’accarezzai un’altra volta e poi feci fuoco:” Tu, come chiunque altro non puoi vedermi. Non è positivo né negativo, la cosa non mi fa stare bene né male. E’ così. A me non è concesso di essere un essere umano, a voi non lo è di potermi vedere e capire. Questo conta poco, ma tant’è. Comunque, chiedimi ciò che vuoi, ti risponderò con onestà e coerenza, per quello che posso, che è molto poco. Una persona mi ha detto che ho paura degli uomini e che nella mia coerenza sono incoerente ma mi sforzerò di esserlo il più possibile. Spero che questo possa bastare, o almeno placarti, o almeno farti tornare qui da me, per uno schiaffo o un bacio, per un abbraccio o uno sputo. Oppure resta lì e guardami ancora. Io ti guarderò di rimando”. E le sorrisi
Lei, per la prima volta ebbe una reazione, mosse leggermente la testa da sinistra a destra e vice versa. Inspirò, e mi disse:” Bhè, sul fatto che io ti possa o meno vedere, non siamo d’accordo. …Inizia a raccontarmi, in che cosa credi”.
Io non attesi un secondo e calmo e placido, mentre aspiravo avidamente, ancora ed ancora dalla mia Marlboro, le risposi:” Io non credo. Io non sò. Non è mio interesse, né la mia la battaglia quella verso la comprensione e la conoscenza. In nessun campo. Io vedo ed esisto, cerco attimi, piacere, sofferenze…gioie e dolori, tutto ciò che c’è di buono e di cattivo. Basta che sia di portata inumana, che mi stravolga ogni volta. E questo per tutto il tempo che mi sarà concesso, nella mi esistenza, nel mio peregrinare. Fino a quando chiuderò gli occhi, senza sperare o credere che anche quello possa essere per sempre”.
Lei non reagì e proseguì:” Credi nelle persone, credi in Dio. Cosa vuol dire quello che mi hai appena detto”.
Io avevo finito la Marlboro, dovetti accontentarmi di inspirare un po’ d’aria fittizia da quel luogo immaginifico per poi riprendere: “Io credo in Dio. Non sò se si chiami così. Ma credo che sopra la mia testa, ed un gradino sopra di me, anche su quella degli uomini, ci sia qualcosa che ha progettato tutto questo. Io credo che nessuno di noi sia il termine ultimo. Ma credo anche che Dio non ci abbia fatto a sua immagine e somiglianza. Credo che ami giocare, credo che si diverta a lasciarci vagare come piccole formiche con le antenne bruciate. Lui…Lui ha fatto tutto troppo di corsa..anche per un Dio…ci ha dato il libero arbitrio, ma non le conoscenze per poterlo applicare, sfruttare e vivere. Ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, eppure in molti lo scansano. Altri lo ritengono magia e divertimento. Altri non vi credono. Altri lo odiano. Ci ha dato tutto, e regolarmente ce lo toglie. Ci ha dato il bene, ed il male, e a me tanto basta. Non ci ha dato la conoscenza per capirci, per essere veramente liberi. Ti dicono che se avrai fede, un giorno lo riabbraccerai e sarà l’ultima cosa di cui avrai bisogno perché dopo quel abbraccio sarà solo pace e silenzio. Io penso che non tutti piacciano a Dio, io non penso di piacergli, non penso di essere un figlio. Non penso che potrei guardarlo e dirgli: eccomi, sono qui. Non penso che potrei perdonarmi e perdonarlo, per avermi reso libero di non essere libero. Penso però che amerò sempre Dio, e continuerò a sperare che lui un giorno ascolti le mie preghiere, anche perché nessuna di queste riguarda me. Io non perderò mai la speranza, ma non avrò mai fiducia per più di un secondo. E’ viscerale: lui è Dio, io sono questo affare qui.
Per quanto riguarda le persone invece, ti dirò, io ho grande fiducia nel genere umano. Tendono alla grandezza per natura, ma si perdono nelle cazzate. Potrebbero brillare, ma si infognano. Potrebbero essere e non sono. A loro è stata concessa una scelta che io, pur non invidiandoli, non ho mai avuto. Ma per tutte queste cose, io amo e odio il genere umano. Mi piace chi, nonostante tutto, riesce a brillare, qualsiasi cosa questo comporti. Mi piace il loro casino interiore, mi piacciono i loro dubbi e le loro dannazioni. Mi piacciono molto le persone pure. Sono stato un avido ladro di persone pure. Persona pura, non è la persona perfetta, è la persona che vive in maniera chiara e cristallina. E’ la persona che ha casini e gioie, ma li affronta a viso aperto, senza filtri. Sono le persone che ti abbracciano e mettono, in quell’abbraccio, tutto quello che sono. Sono le persone che stanno in silenzio ma agiscono. Sono tante cose. In sostanza sono persone grandi, sia che lo sappiano o meno. Sono persone che possono sperare ed arrivare alla grandezza, alla felicità così come alla disperazione ed al dispiacere.
Per il resto..uhm uhm..in cosa credo io ? In molto poco, onestamente. Credo in quello che sò di me e che ho capito di me. Credo che la coerenza sia una gran cosa. Credo che il dono della parola sia il dono più grande e allo stesso tempo quello usato peggio dall’umanità. Credo nelle emozioni, soprattutto in quelle negative..che poi…bisognerebbe capire cosa vuol dire negativo. Credo nel dolore, nella disperazione, credo nell’esistere, credo nel bere e nello scrivere, credo nel vivere le persone che m’interessano. Credo nel sesso e nel piacere. Credo nel passare il tempo, considerando questo, come un foglio bianco. Credo negli errori. Credo nella scelta sbagliata. Credo nella nobiltà dell’uomo. Credo nella sua cattiveria come risposta alla paura e al dispiacere. Credo nella vendetta. credo che sia umana e innata, e credo che spinga sempre ad eccellere, a tagliare i rami secchi e a ricordati sempre chi sei, o chi non sei..ma sicuramente cosa e chi….vuoi o meno vicino a te. Non credo nell’amore, credo nella passione come esperienza massima. Non credo nella determinazione, nella continuazione delle parole ai gesti. Sostanzialmente, amica mia, non è un discorso di credere o meno, sia come sia una questione può sempre essere affrontata in due modi. Il punto è, credi in tutto, ma nella percentuale giusta. Assapora tutto, affronta tutto, ma parti sempre da te stesso”.
Lei in silenzio, continuava ad ascoltare senza smuoversi di un singolo, fottuto millimetro. E questo mi piaceva molto.
Poi improvvisamente, mi urlò:” Le persone, quelle pure come dici tu. La tua famiglia.. In questo ci credi ? “
Un sorriso amaro mi si dipinse sul volto – adoro l’amaro-.
Tant’è…con questo stra maledetto sorriso, le risposi un’altra volta, ancora:” Credo che non mi sia stato concesso il dono di tenere alle persone, o di poter tenere queste con me. Credo nella mia famiglia, nella gioia che mi ha donato così come nelle sofferenze che mi ha inflitto. Credo negli abbracci che da loro ho ricevuto. Credo nel volto di mio padre e mia madre. Credo nelle mie sorelle e nei miei parenti, tutti. Credo nel fatto che ho allontanato da me loro per primi. Credo che ci saranno cose che non capirò mai di loro e viceversa. Credo che il momento in cui sono bruciato, di piacere e dolore, nel modo più intenso che io conosca sia legato a loro e ai loro gesti. Credo di sapere abbastanza bene quello che sono, e sò di accettarmi pur odiandomi spesso e volentieri. Sò qual è il mio posto, così come  quello che cerco. Sò che non posso e non devo tenere le persone con me. Sò che posso plasmarmi sulle loro esigenze, e così, rubato un bacio, uno schiaffo, un abbraccio o lo sdegno…le allontano, preservandole e restituendole al mondo tali e quali a come le avevo incrociate. Credo nell’incontro, credo nel bruciare. Credo che brucerò sempre. Credo che il termine puttana vado usato solo verso la felicità. Mentre bisogna amare il desiderio, l’stante ed il calore che questi, insieme all’attimo comportano. In questo credo.”
Lei mi sorrise di rimando, forse iniziava a intravvedere qualcosa di me…o forse no. Poi replicò:
”Un’ultima domanda, prima del tutto e del niente, prima del tempo che fugge il tempo e di un luogo senza paesaggi. Dimmi di cos’hai paura.”
Dovetti pensarci un attimo prima di rispondere. Un secondo solo, s’intende. Ma comunque un attimo per tramutare quelle sensazioni in parole e poterle quindi rispondere.
“Io ho paura di tutto. Ma per me niente è tutto, niente è per sempre. Ho sempre pensato che se anche potessi firmare per la felicità, mi volterei e me ne andrei sorridendo, sprezzante e stupido come sono. Voglio troppo il desiderio, voglio troppo bruciare, per poter placare con la felicità, quello che sono. Io ho paura…Io ho…di..Io ho paura di….di….”
Alzai lo sguardo per trovare le parole e rubarle un’ultima uno sguardo. Alzai gli occhi e lei mi guardò in risposta. Mi guardava dolcemente, ma allo stesso tempo in maniera amara, quasi disincantata. Aveva capito quello che dicevo, aveva capito cosa voleva dire, per me, proteggere….allontanare. Mi guardò e allungò la sua mano destra per incrociarla alla mia. Un immenso uragano di pezzi di cielo e grigio, di colori e musiche, di sensazioni e attimi, di Dio e disperazione, di Satana e di emozioni. Tutto,si staccava turbinando insieme, in questa selvaggia tempesta che girava e girava sempre di più e più velocemente e più velocemente ancora. Si avvicinava. Stava per inghiottirci. Istintivamente feci per allungare la mano, volevo fortemente, più di qualsiasi altra cosa, toccarla ancora, un ultima volta, sfiorarla e odorarla e magari..così uhm baciarla di rapina un’ultima volta. Che scappato che ero, che coglione..ma..eppure.
La mia mano. La sua mano. Non arrivarono mai a toccarsi, né a sfiorarsi l’una in risposta all’altra. Lei ferma ed immobile, ormai una statua di ghiaccio e cenere, di ombra e polvere. Io nel centro del turbine, prima in alto poi sempre più in basso. A destra e sinistra sballottato come una cosa di poco conto..di pochissimo conto…quale in fondo ero. Continuavo a girare, continuavo ad essere trascinato in tutte le direzioni. Continuavo ad essere come un granello di sabbia nella scarpa, che avverti e prontamente elimini. Solo che lì non venivo eliminato, non venivo rigettato, non venivo lasciato libero di essere, solo, nella pace del bruciare, del desiderare e della solitudine. Lì giravo e venivo sballottato, punto. Nel turbine, sfilai un’altra sigaretta e me l’accesi. Sorrisi, un ghigno strafottente ma molto conscio. Lui, il turbine, mi sballottava, io me la fumavo e sghignazzavo. Lui a tenermi per sempre o forse mai..io con una sigaretta dalla vita molto molto corta e relativa.
Però come la sigaretta bruciavo e tanto bastava.
Avrei solo voluto, sfiorarla un’ultima volta, avrei voluto assaporarla un’ultima volta. Non era stato così, meglio per lei…che tornava a ciò che doveva e voleva. Io rimasi lì, quando ad un certo punto, il turbine iniziò a premere contro il mio sterno.
Premeva e premeva, sempre di più, sempre più incessantemente, sempre più dolorosamente. Un turbine del ricordo, del futuro, di me. Un dolore disumano. Soffrivo, non urlavo, sentivo e mi sentivo vivo. Poi cedette, il mio sterno. L’uragano mi pervase, io collassai. Gli occhi bianchi all’indietro senza vita. La mia carne floscia si faceva farcire dal turbine. La carne infarcita, ma io sentivo tutto. Poi tutto finì, e non fu più.




Mi risvegliai sulla panchina. Un ultimo sorso di jack, una sigaretta con l’accendino ed il mio foglio bianco. Ricordavo tutto, avevo l’uragano dentro di me. Lo sentivo e lui non mi avrebbe più abbandonato. Era il turbine di me stesso. Era tutto ciò che ero, che avevo, che sono e che sarei stato. Tutto ciò che rappresentavo. Presi la penna, cancellai tutto ciò che avevo scritto. Anzi no, lo rilessi, e ne feci una storiella dal titolo :  Whisky, Marlboro e fogli stropicciati dove i cani defecano”.
Poi voltai pagina e scrissi questa storia. La storia di me e di lei. La storia di un turbine. Di un fuoco che brucia, del secondo e del desiderio. La storia di un essere non umano, che vive tra gli uomini, li ama, li odia e li deruba di ciò che di più prezioso hanno: la loro anima, pura.
Scrissi questa storia. La scrissi e la intitolai : “ Come nella fine, così il principio. Fuochi ed emozioni, fuochi e potenti finali. Lei, io, il desiderio e la voglia di whisky e Marlboro”.

Bevetti, inspirai, aprì gli occhi.
Ciao, grazie, ti voglio bene, andiamo al mare. Vaffanculo Jl


Ps: Ci sono grazie che si possono dire. Ci sono grazie per emozioni rubate, per sensazioni donate. Ci sono grazie per abbracci e sorrisi, per baci e carezze. Ci sono grazie per sofferenze e dolori. Ci sono grazie per intere esistenze. Questi grazie li potrò sempre dire e sempre li dirò.
Unico e solo sarà il grazie che non dirò mai…a nessuno, neanche a me…Ma questa come le mie paure fanno parte di un’altra storia. La verità è mia, la tengo per me. Per un po’ sono riuscito a tenere anche te con me. Corri verso la felicità tu che sai cos’è, tu che la cerchi. Io voglio ciò che mi fa star bene e male. Ciò che non è giusto per me, ma che desidero.


“Occhi, guardatela per l'ultima volta! Braccia, prendete il vostro ultimo abbraccio e voi, labbra, voi che siete la porta del respiro, suggellate, con un leale bacio un contratto indefinito con la morte che tutto rapisce ! Vieni, amaro conduttore, vieni, disgustante giuda ! Via, o disperato pilota, precipita d'un colpo sugli scogli, che la infrangeranno, la tua barca afflitta e stanca dal mare. Bevo all'amor mio! O speziale veritiero! Il tuo veleno è rapido. Io muoio così con un bacio...”



“…Queste gioie violente, hanno violenta fine…”



Fine
JL

Commenti

Post più popolari