La Famiglia



Non amo ripetermi. Non lo faccio mai. Oggi non farò eccezioni.
Non conta il mio nome, dato per scontato che ne possieda uno.
Non conta la mia storia. Il mio spirito. La ratio che mi spinge.
Sono qui per tramandare un racconto. Il racconto.
Sono qui per cementare sul bianco e sul nero: una storia.
La storia de: “La Famiglia”.
Era un Natale di tempi che, oramai, appartengono al passato. Almeno due o tre giorni fa.
La serata si rincorreva, stancamente, tra convenevoli, botti ed abbracci. Insomma: tra il finto ed il polistirolo.
Alcuni continuavano a lavarsi il muso nel vino. Altri aspettavano Papà Natale. Altri ancora si battevano il petto e basta.
Ognuno, in sostanza, aveva trovato il modo di celebrare l’avvento di un qualcosa che, per certo, non aveva effettivamente capito. Neanche vagamente.
S’era fatto tardi. Anche per me. Intendiamoci: bicchiere in mano, aria nei polmoni ed in compagnia di qualche fidato amico non avrei faticato a resistere ancora, (se di resistenza si può parlare), ma la piccola gemma di cui m’ero invaghito m’aveva fatto notare (a forza di ‘rintocchi’ sul braccio) che sarebbe stato meglio sostituire alle ciarle del popolo, il silenzio dell’intimità.
Congedatomi dai più, dai meno e da tutti gli altri, accolsi sotto il braccio la mia piccola amica. Questa, di tanto in tanto, faceva capolino (da sotto il braccio) con lo sguardo.
Nevicava ed il vento sferzava anche le carni più tenaci. Così, dopo cinque o sei minuti di cammino, mi interrogai sul perché stessimo sfidando una madre natura palesemente incazzosa piuttosto che fermarci ad un civico e telefonare in ragion di un taxi. Così, fermatici, attuammo la tattica del “stop and call”.
Trascorsi ulteriori tre minuti, giunse innanzi a noi un faticatore su carro bianco che recava scritta “Lancia 69”. Se non era (sessualmente) di buon auspicio quella targa, niente al mondo avrebbe potuto esserlo.
Feci salire la mia compagna per poi accomodarmi a mia volta. La portiera si richiuse mentre una voce indistinta suggeriva l’indirizzo della destinazione.
I primi minuti del viaggio furono intimi e sentimentali. Il silenzio regnava mentre la vettura solcava le deserte strade milanesi.
La mia compagna era la duchessa austroungarica Ermenegilda De Wuib-Bucheter. Nata a Vienna, cresciuta a Teheran ma soggiornante a Montecarlo. Si era trasferita a Milano per ragioni di vanvera. Attualmente studiava geometria alla facoltà di lettere presso la rinomata università dell’Antico Vaso fondata da San Buca.
Ad un certo momento, in maniera inaspettata e scorretta, con mossa sibillina e quindi con una bassezza morale senza precedenti, la mia accompagnatrice mi attaccò con tutto il proprio potere bellico. La duchessa iniziò a narrarmi la chilometrica storia della propria, secolare, famiglia. Il misto di terrore ed incredulità che comparvero sul mio volto non la turbarono -come dicono i francesi- manco per il cazzo, in compenso io rimasi (indifeso e scioccato) ubbidiente al mio posto.
Non c’è modo più realistico di riportare quei momenti terribili se non ricopiare parola per parola, rigo per rigo, l’esatto svolgimento degli stessi.

“Ah Amore, domani conoscerai la mia famiglia”
“Uhm, Uhm”
“Forse è il caso che ti spieghi un paio di cose”
“Vai serena”
“No, no. Mi sentirei più tranquilla se ti mettessi in guardia”
“Ok” (Errore grave. Cosa alla quale non si rimedia)
“La mia famiglia è ultra secolare. Salta di trecentosettantasette anni in trecentosettantasette anni. Il primo membro della nostra casata visse durante le guerre puniche. Anche se fonti non confermate ci vorrebbero arbitri delle crociate. Precursori delle Olimpiadi. E, nondimeno, pacifici risolutori dell’antica faida tra: Sumeri, Babilonesi, Fenici, Assiri ed Egizi romanizzati.”
“Minchia…” (Che altro commento si poteva fare ?)
“Già, già. Sono emozionata anch'io. Comunque, non è che campiamo così a lungo per caso.”
“Eh no, figurati…”
“Noi saltiamo sei generazione ogni due col resto di tre divise per quattro in fila per cinque
“……..”
“Ma dai sciocchino, è semplice. Ogni De Wuib-Bucheter vive circa quattrocento anni. Questo grazie ad una dieta ferrea a base di: muschi, licheni ed acqua ragia. Inoltre per tenerci in forma, sin dall'età di 4 anni, ci attacchiamo l’elettro stimolatore agli zebedei o alle pussy potty”
“A però…”
“Già, già, che splendidi combattenti che siamo. Comunque Amore, ecco, sì, allora…Domani….Domani….Domani saremo…”
“Ti voglio bene”
“Ma sì scemo anche io ti voglio bene. Allora domani…”
“Ti amo..”
“Ma sì, cucciolo, anche io ti amo….”
“Ti sposo”
“Piantala, babbeo”.
“………” (Ormai rassegnato).
“Allora Topolino devi sapere che la famiglia è così composta: ci sono i capostipiti: i nonni Aritmide e Gelsomina.
I loro figli: Gualtiero, Gian Pio, Brunello, Terenzio e Flauto.
Gualtiero ha poi avuto Gian Juan e Maria Chiavica.
Gian Pio ha avuto Ninetto.
Brunello ha avuto Montalcino e Tavernello.
Terenzio ha avuto Pluto e Lassie.
Flauto ha avuto Carlo Magno, Gino Battista e Corsaro.
Maria Chiavica, poi, ha avuto Petra soprannominata Peta. Mentre Gian Pio ha avuto Albre Magique.
Ninetto ha avuto Patroclo.
Montalcino ha avuto Walker e Texas Ranger.
Pluto e Lassie hanno deciso di non avere figli.
Per concludere, dei tre figli di Flauto, solo Carlo Magno ha avuto dei figli: McGiver e Valdostana. Tutto chiaro ?”
“Fidati’
‘Dai Amoreeeeeeee’
“Vai serena. Tu mi dici quello che devo fare ed io lo faccio”
“Vabbè dai, adesso ti dico proprio un paio di cosette su di loro”
“Ma non posso fare come sempre ? Cavarmela con un “Ehi splendido” (con la variante “Ehi mitico”) per gli uomini ed un “Ehi splendida” (con la variante “Ciao splendida”) per le donne ?”
“Ma sei cretino ?”
“Devo dedurre che non sei d’accordo ?”
“Si devi dedurlo esimia testa di…”
“Ok, dai, ti ascolto”
“Sarà meglio...Allora iniziamo con nonno Aritmide e nonna Gelsomina. Il nonno è nato nel 1400 ed ha contribuito al Risorgimento italiano coniando i verbi “sorgere” e “risorgere”. Ha collaborato al Roccocò italiano aggiungendo a “Rocco” la sillaba “Cò”. Ha unificato l’Italia personificando il braccio destro di Garibaldi ed il sinistro di Cavour. Ha contribuito alla prima guerra Mondiale, scatenandola. Ha vivacchiato nella seconda perché aveva scoperto il programma radiofonico "Tutto il calcio trincea per trincea". E’ tornato attivo durante la Guerra Fredda organizzando la sfortunata trasferta di Kennedy a Dallas. Dopo quello sfortunato evento si diede una calmata e si relegò a vita privata con sua moglie, la nonna Gelsomina.
Nonna Gelsomina ha un passato vagamente più burrascoso. All'inizio si Chiamava Beatrice e fece innamorare Dante. Poi sedusse Petrarca ed infine prese il nome di Silvia dando il colpo di grazia a quel poveraccio di Leopardi. Per scongiurare che in futuro si riproponesse il problema, decise di chiamarsi Gelsomina. Da allora ha intrecciato la propria storia a doppio filo con quella dello zio Aritmide. Sfornando figli e parenti di sorta senza risparmiarsi.
C’è poi lo zio Gualtiero. Mio zio è un famosissimo addestratore di paguri polinesiani. Considera che possiede (ed ha costruito) uno stadio per paguri (il Pagudromodo) dove si svolgono tutte le competizioni inerenti a queste bestiole di una simpatia sconfinata. Lo zio Gualtiero si è sposato con la Principessa Sissi e dalla loro unione sono nati: Maria Chiavica e Gian Juan. Maria Chiavica non è stata chiamata in questo modo per caso. Diciamo che è una ragazza molto particolare, simpatica ed introversa. Gian Juan ha subito molto l’influenza della musica spagnola che ha contribuito ad arricchire con la sua opera “El Merendero”. Attualmente gira i teatri di Rocca Cannuccia infilando un ‘sold out’ dietro l’altro.
Gian Pio è un famoso compositore di musica pop. Ha rivoluzionato la canzone nella sua più moderna concezione. Il suo successo “Il pulcino Gian Pio” spopola nelle radio. Qualche anno fa si è unito con Cristina D’Avena e dal loro amore è nato Ninetto, un trapezista che ha sempre sofferto del nome poco virile che i genitori gli avevano affibbiato e che ha deciso, per questo, di chiamare Patroclo sua figlia. La sfortunata adesso guida i camion mentre scrive alla posta del cuore di Maria de Filippi.
Brunello divenne un famoso produttore di vini rossi. Si specializzò anche come sommelier. Si sposò con zia Bonarda con la quale mise al mondo Montalcino e l’altro figlio (la pecora nera della famiglia) Tavernello. I due hanno ereditato il lavoro del padre e ne portano avanti, con fortune alterne, il nome.
Lo zio Terenzio poi….”

Fu allora, dopo venti fottuti minuti di spiegazioni senza senso (senza neanche intervalli per respirare), che non riuscì più a resistere e scoppiai in una fragorosa risata, la quale spaccò i vetri del taxi ma riuscì a contagiare lo stesso tassista (che a proposito saluto: grazie Fernandinho Aluenso).
Ridevo senza soluzione di continuità. Non riuscivo proprio a smettere.
Ermenegilda mi fissava con un’aria divisa tra lo sbigottimento e la lesa maestà. Fu allora che, non senza sforzi, smisi di ridere. Presi una notevole boccata d’aria e ripresi a ridere mentre le dicevo: “Ma che cazzo dici. I paguri. Le guerre puniche. Ma quanti cazzo siete ? Ma una televisione a casa vostra ? ahahahah”
Questo più o meno fu il tenore delle frasi (di vaghissimo senso compiuto) che per mezz'ora riuscii a pronunciare.
Sarebbe andato tutto bene se Ermenegilda, contrariata e pronta a chiedermi il divorzio, non mi avesse appellato dicendomi:” Sei proprio un cretino, erano giusto due nomi, due nozioni. Guarda, scommetto che anche il signore che guida (è talmente nobile che non riesce a pronunciare la parola tassista) saprebbe ripeterlo. Vero ?”
(Ed io) “Seeee. Come no…”
(Allora lei, che solo per questa volta soprannomineremo “la straccia-maroni”, si appropinquò): “Come si chiama il figlio del terzo figlio dei miei nonni ?
“Domanda d’impossibile risoluzione.” (Pensai tra me e me. Me la bullavo sereno, elargendo monete d’oro ai passanti, mentre salutavo gli stessi con leggeri cenni del palmo della mano destra. Sbagliavo. Atrocemente sbagliavo.)
“Montalcino ? Figlio di Brunello e a sua volta figlio di Aritmide e Gelsomina e padre di Walker e Texas ranger.”
Ero appena stato battuto da un guidatore di diligenze moderne. Mi ritiravo mesto ed umiliato nei miei appartamenti.
Questa sconfitta avrebbe significato infinite ciarle senza possibilità d’appello. La mia vita finiva così: per colpa di un tassista primo-della-classe-del-cazzo.
Scendemmo e pagai ma non lasciai mancia. Tiè…
A questo punto le scappatoie scarseggiavano ed Ermenegilda sorrideva da circa 25 minuti come se avesse appena fatto una puntura di bottox. Tirata e tronfia.
Mi giocai la mossa “Di Caprio”. La cinsi in un abbraccio e le dissi: ”Ermenegilda tu non morirai qui. Non così. Non adesso. Morirai vecchia mentre caghi nella padella, al caldo del tuo letto. Morirai mentre cerchi la tua dentiera. Morirai per non essere riuscita a digerire il semolino. Non adesso. Tu devi sopravvivere.”
Lei tentò di fermarmi e rassicurarmi ma rapita da quelle fulgide parole d’amore rimase in silenzio. La baciai. Niente aveva più importanza. Niente, tranne il fatto che per l’ennesima volta nel corso della mia vita fossi riuscito a scampare ad una boiata con una boiata più grossa.
Il freddo frenò la sua rincorsa contro il portone che si richiudeva. Eravamo salvi.
Da quel Natale. Da quella sera. Da quella donna, avevo capito un’unica, importantissima, cosa: se non sei un De Wuib-Bucheter o sei morto o lo sei senza saperlo.
Questa è stata la mia esperienza con ‘La famiglia’.
Invisibili guardiani dell’umanità. Della sua storia. Delle sue pieghe.


Fine
JL 

Commenti

Post più popolari