Senza giri di parole
Senza giri di parole. Se penso al male che mi ha colpito
lungo il cammino, muoio in ogni lacrima.
Insomma, ho perso persone. Ne ho allontanate tante altre. E
ho perso pure la mia persona che non è una donna e forse, per questo, fa ancora
più male. Come se la sofferenza dovesse essere affare esclusivo di queste
creature. Le donne vincono perchè, per noia, l’uomo ha concesso loro il
monopolio della sofferenza e loro ne hanno tirato fuori un instancabile
strumento di morte.
Mi piange il cuore, a me. Mi piange proprio tanto. Non solo
per me, certo una buona parte è soggettiva ma il resto sono altre storie alle
quali ho assistito (più o meno colpevolmente) in maniera inerme.
Tutte le volte che ho fallito. Che mi hanno fatto fallire.
Che la fortuna mi ha rifiutato un appuntamento galante all’ultimo minuto
rifilandomi come rincalzo sua sorella, la sfiga, eh sì, perchè al mondo
sfortuna e sfiga contano più del talento e di quell’altro pregio che potete
scegliere a piacimento dalla tavolozza delle virtù. Lo so che fa paura, ma
questo è quanto. Chi ha detto che in vita è meglio essere fortunati che
talentuosi, ha colto il senso dell’esistenza umana.
Non dimentico tutte le cose andante storte. Tutte le storte
andate dritte. E tutte le dritte andate al rovescio. La vita è una crudele
sottile linea fatta di contrappassi, merda da ingoiare e paraocchi formali che
ci rendono ciechi di fronte alla sostanza delle cose.
Stasera ero fermo al semaforo e una donna, una vecchia,
costeggiava le macchine, sotto la pioggia, chiedendo spiccioli per non so cosa.
Forse il cibo, magari una birra, può essere anche la droga. Fondamentalmente sa
il cazzo. Gli occhi di quella donna erano bagnanti, ma non dalla pioggia, era
netta l’onta dell’umiliazione in quell’essere umano resosi randagio per
necessità. Mi son sentito male. Ho rovistato nelle tasche. Nel porta monete.
Niente, neanche un euro. Ecco cos’è la vita: rendersi conto di essere
inadeguati, essere pronti ad intervenire e trovare un ostacolo imprevisto,
all’ultimo minuto che ci fa andare a farci fottere con pure il peso sulla
coscienza di aver fallito.
Ed è così, la vita è il filtro che noi le diamo. Se penso al
dolore, alla sofferenza, all’inadeguatezza e alle mie mancanze mi crolla tutto
addosso. Tutto. Ho sbagliato e perso quello che una persona normale non
sbaglierebbe in cinque vite. Non ho concluso niente di speciale se non i dolori
che mi porto dietro e che per altro conclusi, di certo, non lo sono e non lo
saranno mai.
E tuttavia se penso alla resistenza che ho dimostrato, alla
perseveranza. Al carattere nel resistere quando venivo scartato, o lasciato
solo. Quando gli altri bestemmiavano il mio nome o scansavano la mia compagnia.
Quando ciò che rappresentavo veniva deriso o un mio bacio scansato senza
pensiero. Se penso a tutti quelli che mi hanno manifestato affetto e stima e a
coloro che hanno sublimato dinnanzi ai miei sensi il proprio amore. Se penso a
chi ha bestemmiato Gesù per me. E a chi, me medesimo, lo ha innalzato al primo
posto della propria graduatoria. Se penso a mia madre, mia nonna e al loro
affetto. Se penso a quella ricciola mora che alberga nella sinistra del mio
petto e chi mi sostiene il cuore da un’apnea obbligata. Se penso a tutto
questo, non posso fare a meno di sorridere e ringraziare.
Ma allora come posso morire in un secondo che pare non
finire mai ed essere immortale in quell’istante che nessuno pare cogliere.
La verità è che non c’è una verità ma che pure la cosa che
alla verità si avvicina maggiormente è che la vita è una combinazione di sfighe
e ascese all’eden condite da caso, percentuali e statistiche che a seconda
dello stato emotivo nel quale versiamo, ascriviamo a Dio, ruote della fortuna e
calamità naturali.
Viviamo di anacronismo anche se non abbiamo in bocca che il
futuro. Un pugno chiuso o un braccio teso ci tolgono il sonno mentre
l’istruzione e la vendita della nostra anima e della nostra cultura passano
sotto silenzio. La pace è il biglietto da visita della guerra. E la
globalizzazione si fa sponsorizzare dalla promessa di individuale e personale
successo. I nostri figli crescono verso la morte in un Paese che non sta
affogando perchè è già stato cremato. Non abbiamo concezione della pace, della
fratellanza e dell’unità. Primeggiare significa pugnalare il prossimo. I nostri
politici provengono dalla nostra terra e sono l’esempio lampante di chi siamo,
ma si sa: agli italiani non piace vedere il proprio riflesso allo specchio.
Gesù parla nel deserto ma dopo il “in verità vi dico” il
segnale si cripta e interviene il Papa o forse è lo stilista che reinventa
l’eleganza del vivere morendo restando fermi.
Le parole a caso. L’inconcludenza. Una vita progettata
dall’uomo per tagliare fuori l’uomo. Interviene Marzullo ma nessuno si fa
domande, tutti intenti a pretendere risposte. Il “dovere” è il vero bandito di
questa stagione, troppo sopraffatto dal fratello “diritto”, bello, alto, e
biondo con gli occhi azzurri. Già un’altra volta era finita in rissa per questi
motivi ma non ricordo bene perchè i libri di storia continuino a scriverli i
vincitori e non gli uomini saggi o quelli santi.
Gli illuminati di oggi sono coloro i quali hanno versato
cinque euro per avere una lampadina sulla propria lapide ma se l’incisione
sulla stessa inizia con “se io sarei” capite bene che il pezzo è marcio ben da
prima.
Dio e il buon senso vanno a braccetto, esiliati dietro la
lavagna. E i ghettizzati, oggi, ghettizzano a loro volta invece d'insegnare la
lezione appresa a quel duro prezzo che solo i padri conoscono.
La vita è sapere che il sole durerà altri quattro o cinque
miliardi di anni. Che la terra potrà supportare un numero di essere umani di
cinque volte superiore a quello attuale, ma che nonostante questo tra meno di
mille anni questo pianeta sarà inabitabile.
Ecco cos’è la vita: l’umanistica avidità di rosicchiare,
collezionare e trattenere quanti più momenti di breve ma intensissima gioia.
Il mondo prima non c’era e dopo sì. La vita è questo: il
tutto, senza dire un cazzo.
Fine
JL
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