La leonessa delle coperte corte
Dire “mia madre” equivale a dire “la mia vita”. Le
caratteristiche portanti di questa stessa, per lo meno.
E’ la donna che più amo e che al contempo più abbia sentito
lontana.
Quella che ha smosso le gioie più pure e dato vita alle più
profonde paure e ai più calcati ed oscuri odi che abbia mai provato.
Mia madre è amica e confidente eppure avverto una barriera
che mai riusciremo a spezzare.
E’ la rosa più bella dalle spine della quale, tuttavia, non
riesco, mai riuscito, a difendermi.
Lei è un abbraccio dato tanto tempo fa dentro un grosso
prato verde lussureggiante mentre una palla di gomma rotola stanca poco
distante.
Una diapositiva rigata dal tempo ma intatta nell’anima.
Un flash di ricordi. Un collage di pianti. Un insieme di
occhi.
E’ stata la mia infermiera nei giorni di dolore che uno ha.
La mia leonessa quando le coperte non bastavano a tenere
lontani i mostri.
Lei mi preparava la mela grattugiata mentre io, seduto sul
seggiolone, mi affacciavo su di un mondo che non ho mai bene compreso e del
quale solo ora inizio a intravvedere le linee guida.
Mia madre è una fenice che non ho mai visto morire ma che è
risorta ogni giorno. Piegata e mai spezzata. Mai doma.
Mia madre è scesa in campo anche coi pantaloni di un padre,
senza mai sfigurare.
Tavolozza cromatica dei colori, dei suoni e degli odori che
rendono il mondo tale.
Completa nelle imperfezioni. Multiforme nel suo viso segnato
dai cambiamenti del tempo.
Mia madre è una mano tesa in lacrime mentre una macchina si
allontana senza voltarsi.
Mia madre è la mia mama.
L’unica cosa che conti.
L’unica da dire.
Fine
JL
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