Hank, Luigi e le mille facce di uno specchio per caso
Avevo due amici, si chiamavano Luigi ed Hank. Il primo mi ha
insegnato che la faccia che vedo riflessa nello specchio è solo una delle mille
che possiedo o che mi attribuiscono.
Il secondo mi ha consigliato di non rattristarmi troppo
quando avessi perso qualcosa o qualcuno che tanto avrei ritrovato qualcos’altro
o qualcun altro e lo avrei riperso ancora.
Mi chiamo Jacopo, Mario, Lodovico, Maria, Landi e sono un
qualcosa in cammino verso l’idea di essere umano.
Una volta scrissi che me ne sarei voluto andare appena prima
di sfiorire e appena dopo essere diventato un uomo. Oggi, a molti oggi di distanza da quel giorno, lo
ribadisco e sottoscrivo.
Chi io sia non è mai stato ben chiaro neanche a me stesso. Sono
italiano anche se metà del mio cuore è americano e col popolo delle aquile
condivido ipocrisie e incomprensioni sulle quali muoio e mi interrogo se sia
meglio spruzzarle col ketchup o la penicillina.
La beat generation, una mente aperta, l’arte, i
contrappassi, la frenesia, la passione, l’istante, l’amore e l’odio e il
peccare.
La musica vecchia che scricchiola quando suona, così come i
film bruciati ai bordi di un bianco e nero una notte tardi, sotto le coperte,
mentre Dio fa lo spaccone lanciando tuoni e fulmini (..manco fosse Zeus).
Le autostrade impolverate, Virginia Wolf, Oscar Wilde, gli
occhi di bastardi non salvati dai vezzeggiativi. Le chitarre spagnole e il sole
di Madrid. L’unicità di Londra nel renderti uno, nessuno e centomila. Mosconi
da bar che girovagano, cercando di capire ora la propria natura e ora il
proprio tempo.
Il rap di Harlem e i canti gregoriani che amoreggiano con i
brandelli di un’anima rotta. Le bugie con cui celiamo i nostri sentimenti
tentando una salvezza simile a quella dei topi sulla nave che affonda.
Spaventati e con la rugiada nel cuore, i ragazzi diventano
uomini e gli uomini diventano padri e così procede il nastro del tempo cui
siamo crocifissi, con i figli che diventano padri e i padri che divengono figli.
Un amico sta ancora aspettando che il padre torni a casa per dirgli che è un
bravo ragazzo, che è divertente nonché il suo unico figlio. Temo che abbiano
chiuso il tabacchino. L’orizzonte tace.
Ho uno splendido rapporto con le Ia: sociopatia, psicopatia, meteoropatia ma anche con l’epifania
che ti porta via come mi spiegò un altro amico, che si chiamava James ma non
come Bond, e che veniva da Dublino (…forse ne avete sentito parlare).
A volte penso che capire come girino le cose quaggiù, come
funzioni la vita o come sia veramente un essere umano mi costerà tutta la mia
di vita. Però va bene perché proprio alla fine potrò dire che c’ho messo tutta
una vita a capire l’uomo e pur non essendo arrivato a un bel cazzo di niente, un
paio di linee guida le ho intraviste. Ad ognuno il suo.
Ho fatto quasi tutto in vita mia. Ogni sorta di lavoro anche
se non posso far seguire l’espressione “mal pagato” perché di soldi a me Van
Gogh e Fitzgerald ne son sempre arrivati pochi, pochi. E’ come se ampliassi la
mia galleria e qualcuno non volesse farmi fermare, sospingendomi continuamente,
senza sosta, come se ce ne fosse bisogno.
Mai casa per me, mai casa per me, sul piano cartesiano di un
casino a ciclo completo, continuo e costante.
Sono un lussurioso, un goloso di salati, un politicamente
scorretto, un irrazionale con un angolo d’anima, un calciatore perennemente
dietro a una palla troppo lunga di pochi centimetri, un iracondo non violento,
un bluff coi contro cazzi e uno dei “quasi” più accennati della storia. Insomma:
contrasti, contrappassi e ipocrisie, ci siamo capiti. La vita è fatta a costi, tutto
ha un costo e questo spacca quasi tutto ciò che conta e che ovviamente un costo
non ce l’ha.
Sono incostante e questo mi fotte quasi sempre. Una boccata
di fumo, una fiammata improvvisa, le 24 ore di una farfalla. Brucio in fretta e
non costello il mio cammino di grazie o prego anche se il cuore mi piange quasi
sempre per quasi tutto e i gabbiani volteggiano in attesa che la carne si
smolli di quel tanto che basta.
I condizionali e i congiuntivi li considero parenti alla
lontana, li conosco bene ma preferisco esprimermi al presente o al passato
riservandomi il futuro di tanto in tanto e lasciando le recriminazioni ai
minuti che precedono il sonno.
Alla lingua delle parole ho sempre preferito quella dei
gesti e se mi contestate i miei scritti vi dico che avete ragione e che forse
potete ora intuire una parte dello schifo che nutro nei miei confronti. La vita
e le persone sono libri e stagioni e bisogna fare pace con il dinamismo del
tempo cercando di essere leggeri sulle cose. Tutto quello che c’è da imparare è
là fuori e là sotto, nelle strade liquefate di questa città dove ogni angolo è
pisciato da un randagio diverso.
L.A. fa parte della mia anima, coi suoi angeli, i suoi santi
ma anche i ladri e truffatori. Eppure vengo da New York e mi piace il suono di
Boston.
Mi piace la nostalgia, la malinconia, il crepuscolo con quel
giallo e rosso che si sciolgono.
Mi piace il modo in cui la morte tocca o non tocca le
persone, toccandole comunque sempre tutte, alla fine. Mi piace anche l’impotenza
della morte nel non potere mettere la parola fine alle storie delle persone.
Credo che se nel corso della storia abbiano aumentato i
poteri di Gesù Cristo di sicuro abbiano ripetuto la stesa operazione anche col
Diavolo e credo che nella vita si possa incontrare qualcosa di peggio rispetto
ad entrambi. In fondo ritengo anche che l’uomo abbia molto più bisogno di Dio che
viceversa.
Amo le donne e al contempo le odio, così ho sostituito l’epifania
con la misoginia e questa mi ha rubato via. L’uomo ha come spirito guida il
cane, la donna ha il gatto, c’è altro da aggiungere ? Una donna non ha alcun senso
di onore o di appartenenza. L’astratto, non ha alcuna attrattiva per lei o
visualizzazione nella sua mente. Lotterà solo per i suoi interessi concreti.
Una donna che creda in qualcosa sgominerebbe qualsiasi esercito ma supplicate
questa stessa per un istante di fiducia e lei vi scivolerà alle spalle
pugnalandovi l’anima sguarnita.
Eppure resta comunque la creatura migliore, multiforme e più
eccezionale che campeggi su questa fottuta terra e, chissà quanto
inconsapevolmente, io le ho dedicato la mia vita riducendo il mio cuore a
brandelli. Amo mia madre che è forse la cosa più bella e più distante sulla
quale i miei occhi si siano mai posati.
Nello stomaco ho un uccello azzurro che celo al mondo, un
uccello che piange anche se io non piango ed un mondo che si divide tra belli e
brutti coi primi che scollinano una dose di qualche droga, pigiati contro un
angolo di buio oblio che li inghiotte, e
i secondi che sanno come si fa a vincere e a vivere.
Ho una predilezione per le nuvole, il fumo di sigaretta e il
whisky che brucia le vene come il veleno che le inonda. La sbronza,
l’ubriacatura, non è mai la strada più facile ma anzi, ti privi di qualsiasi
armatura sociale e prendi tutto quanto il carico in faccia. Lì sono schiaffoni
e cazzi acidi ed entrambi, la maggior parte delle volte portano il tuo nome
stesso.
La vita vera nessuno di noi l’ha mai vista e mai la vedrà,
la vita è fatta di filtri e si declina in picche, cuori e, molto più spesso, in
lacrime. Tra il filtro della gioia e quello del dolore, il secondo ti insegna
molto di più, ti accresce molto di più e, semplicemente, è molto più verosimile
del primo che in cambio dell’euforia ti chiede uno scollamento dalla realtà,
dalla tua anima e dal tuo talento.
Chi scrive deve provare la privazione, avere fame e avere il
dolore più cieco e intenso di tutti, e farsi strozzare da questo. Punto.
L’arte chiede sempre qualcosa in cambio e se sei bravo, non
ti resta che concederle la vita.
Sono un bello, un incostante e un fallito, anzi Il.
Quanto ancora ci sarebbe da dire in questa introduzione ma
un mimo che parlava con gli occhi mi sussurrò che è sempre meglio perdere con
classe e vincere osando. Andarsene un secondo prima piuttosto che uno dopo. Il
troppo stroppia, si sa, lascia il dubbio a riguardo della tua stupidità
piuttosto che acclararla aprendo la bocca.
E quindi…
Ho conosciuto un americano e un messicano, si chiamano
Cormac e Machado, loro mi hanno parlato del rapporto di trascendenza eppure di
totale indissolubilità tra il valore e il dolore. Una delle epifania più utili
della mia vita.
Me ne andrò come sono venuto, con niente in tasca, qualche
scritto, un buon disco gracchiante che saltella alla bisogna e un becchino che
distrattamente sibilerà “chi l'è ches chi ?”
Fine
JL
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