Quella volta che incontrai Gesù all'ostrica ubriaca
Grigio e crisi.
Una crisi grigia.
Troppa voglia d’ingigantire.
Di segnare il proprio tempo.
D’esser ricordati senza motivo. Anche nel male. Nella
sofferenza. Nell’immobilismo.
L’aggettivo del nostro tempo: stantio.
Una vita stantia, che odora di vecchio e si sviluppa per
cerchi concentrici.
Troppa fretta di criticare. Lamentarsi e piangere.
Non c’è tempo. Si corre via e ci si lamenta.
Si piange e si applaude.
Siamo scesi dagli alberi ma continuiamo ad essere delle
fottute scimmie. Ingozzate di banane mentre ci grattiamo il culo.
Questo è quanto.
A me è andata meglio che agl’altri.
A me è andata peggio che agl’altri.
Ero il miglior scrittore della mia generazione. Se solo la
mia generazione non fosse stato poco più di una colata di sborra su di un muro
appassito.
Ero un ex calciatore con un discreto talento. Tanto discreto
da non indossare mai la maglia che amavo.
In compenso avevo più ballerine di quelle che meritassi.
M’era capitato d’aver avuto anche qualche donna. Soprattutto avevo il whisky e
la penna. Si cercavano a vicenda, quei due.
Era deciso, quella sera avrei ringraziato Gesù, o Gesà (nel
caso fosse stata una femmina).
Dio ha sempre avuto molto più a che spartire con le donne
che con gli uomini.
Dio se la intende con le donne. Gli uomini cercano le donne.
Tutto ha un senso. Che equivale a dire che niente, al contempo, lo possieda.
Dio era donna. Per lo meno femmina. Questione chiusa.
Ritornai a fissare i miei piedi che si rincorrevano lungo
l'asfalto bagnato d'un marciapiede da cani. Un giovedì notte di proprietà di
qualche troia che battibeccava a proposito d'un centone di mancia. Differenza
abissale quella tra troia e puttana. Differenza d’un mondo. Di un modo.
Dell'essere e del sentire. Una linea netta.
Svoltai a destra per due volte e poi a sinistra. Subito dopo
v’era una rotonda. Giunsi, allora, in Piazza.
Gocce di sudore caracollavano giù per la schiena. La gola
allappata ed il cazzo scomodo, premuto com'era, tra quei due coglioni.
Affrettai il passo ed entrai all'Ostrica Ubriaca.
"Ciao Ash"
"Hank"
"Che ti servo?"
"Il solito"
"Quanto ti piace dirlo ?"
“Quasi quanto a te chiedermelo. Tavolo sgombro ?”
“Como siempre. Reserved Mr Hank.”
“Se continui finisce che mi devo fare una sega.“
“Uhm...”
“Stasera non mandarmene nessuna di là...”
“Di che parliamo ? Ballerine, mule, cagne, donne, tonni o
nostromi ?”
“Nessuno. Devo parlare con Gesù o Gesà. Servirà comunque più
tempo del previsto.”
“Se lo dici tu. Chiedigli chi vince i prossimi mondiali. Ah,
e digli se rifà quella cosa figa che trasforma l’acqua in vino e poi
l’avvelena. Chiedigli di farlo contro i Francesi. Luridi sozzoni.”
“Ash ma Gesù non ha mai avvelenato nessuno.”
“I cavalli invece sì. Brutte persone, quelle bestie. Che
prenda spunto da loro.”
“Ash maledetta la tua infanzia difficile.”
“Dai Hank. Dì a Gesù di avvelenare i francesi. Solo una
volta.”
“Ash ma, Dio Santo, è Gesù.”
“O Gesà. Dai almeno un autografo.”
“Una foto ?”
“Andata.”
“Sei il migliore Hank.”
“La migliore.”
"Cosa ?"
“La migliore testa di cazzo a dar retta a te.”
Un cenno d'intesa e continuai fin verso una rientranza sul
lato ovest del bugigattolo.
Che a chiamarlo locale gli si faceva uno scherno di quelli
che fan soffrire.
L'Ostrica ubriaca era composta da un solo stanzone di forma
rettangolare. Sul lato ovest vi era una rientranza che Ash aveva trasformato in
un mini stanzino adibito a mio solo ed, esclusivo, uso personale. Non che si
fosse astenuto -del tutto- nel portarci qualcuna
per farsi leccare le palle.
Era, tuttavia, un piacevole vezzo immaginare che qualcuno
nutrisse un pò di Vero rispetto per un mentecatto, beone, con la passione del
bere ed il vizio dello scarabocchio in forma.
Kid era il mio barista. Un mio più possessivo di quello
usato dal marito verso la moglie.
L'Ostrica era la mia bettola di mare in un Oceano di
soffocante cemento sociale.
Kid l'avevo conosciuto ad una gang bang durante una Pasqua
trascorsa col gruppo anticlericale "Cloro al clero". Stava
inchiappettando una ragazzotta, avrei giurato fosse una bibliotecaria (aveva le
natiche tutte schiacciate). Morale: se la stava sbatacchiando quando, a
tradimento, un negro lo imboccò. Se non fosse stato per il mio pronto
intervento nel rimetterlo in una posizione accettabile, il beone sarebbe
sicuramente morto per asfissia. Fortunatamente nessuno si fece male e lui
continuò ad inchiappettare la bibliotecaria e ad essere imboccato dal negro.
Non mi chiese mai perchè, nell'aiutarlo, non gli tolsi quel fallo gargantuesco dalla
trachea.
"Ecco a te, vecchia puttana"
“Cip cip”. Gli risposi
“Cosa sarebbe questo?” Mi chiese lui.
Ed io, aprendomi in un sorriso: “Ma come…è la mia passera
che ringrazia sentitamente.”
“Sempre il solito.”
“A quanto pare”
“A dopo...”
“Se Dio vorrà...”
“o Dia...”
“Già. Già...certo...certo.”
Tornavo alla mia caraffa di whisky e cola.
Attendista, trincavo.
Nessun Re Magio o stella stellina. Nessuna piaga o angelo.
Niente di niente.
Finisce la brocca e ne ordino un'altra.
La seconda brocca è sempre più veloce della prima. Ne ordino
una terza e si vedrà.
L'Italia ha vinto quattro mondiali. Chi sono io per fermarmi
a tre ? Ordino la quarta brocca.
Sono nato il sei d'aprile:" Kid...altre due".
Diverse ore dopo…
Rantolavo, confuso, sul pavimento. Ormai da un pò…
Le mie pupille s’erano affilate come quelle d’un felino.
Percepivo il mondo circostante in maniera più affilata.
I colori, non più costretti in grigi contorni, zampillavano
negl’occhi.
Le forme s’ammorbidivano. L'assenza era diventata presenza.
Il condizionale, l’imperativo del presente.
La possibilità, movimento. Certezza.
Insomma un mondo vero.
Notai solo allora, con colpevole ritardo, che non ero più
l’unica presenza nello stanzino.
Nell'ombra, sulla destra, una creatura androgina mi fissava.
Non so dire circa la qualità dello sguardo. Fissava e basta.
Avrei voluto o forse dovuto scapicollarmi da lei. Aveva un
fortissimo potere d'attrattiva. Infondeva serenità.
Il corpo mi seguiva solo in parte. Nella parte dei pensieri.
Così presi il tempo necessario e in “degno” stile la raggiunsi.
Mi anticipò d'un secondo facendomi un cenno. Mi sedetti e
trangugiai un sorso.
Non mi sentivo particolarmente a disagio, tuttavia, si poneva un problema d'etichetta: come cazzo
si rompe il ghiaccio, quando amabile, ti trovi a conversare con una divinità ?
Pensiero stupido pensai. Alla fine è come una nave scuola.
Ci ha fatto tutti lui o lei. Ci conosce sin dall'inizio. Saprà cosa dire. Quali corde
toccare.
Così gli sorrisi e continuai a fissarlo mentre bevevo.
Lui si specchiava in
me di rimando
Il tempo passava.
Passava il tempo.
Il tem…
“Quindi…Tu sei…Tu?”
“Quindi io sono io e tu sei tu”
“Eggià. Da qui non si scappa”
“Direi di no. Vorresti scappare ?”
“Chi non lo vorrebbe…”
“Io ad esempio. Mi trovo esattamente dove dovrei essere.”
“Ti accontenti di poco”
“Lascialo decidere a me. E tu ?”
“E io cosa vuoi che dica ? Sai bene chi sono e cosa faccio”
“Direi di sì”
“Quindi saprai, per certo, che tratto ben altra materia. Io
parlo d’umanità. Materia grezza”
“Perché, io cosa ti sembro ?”
Fu allora che prestai reale attenzione alla figura che mi si
poneva dinnanzi.
Era totalmente diversa da come me l’ero immaginata.
Una donna certamente. Nelle fattezze almeno. Una donna ma
non quel tipo di donna che –uno s’immaginerebbe- degna incarnazione d’un Dio.
Insomma le ho lette anch’io le fottute parabole. Non
giudicare il monaco dall’abito. Bla bla bla…
Ma questa era proprio…diversa.
Talmente diversa da riuscire in un’impresa più unica che
rara. Privarmi del verbo.
Privare uno scrittore della parola equivale a privarlo
dell’unico potere che possieda. Della propria, fottuta, ragione di vita.
Ma tant’è. Non riuscivo a descriverla.
Rimanevo, stupefatto, ad osservarla.
Le labbra attaccate alla brocca.
Il cuore più veloce, d’un paio di battiti, nella sua corsa.
“Sei spaventato ?”
“Dovrei esserlo ?”
“Non è quello che ti ho chiesto”
“Ma è quello che mi son sentito di risponderti”
“No, non dovresti aver paura di me. Tuttavia, sei spaventato
?”
“M’hai reso ceco al verbo. L’unico lume che mi concedesti.
La mia ragione di vita. Sì, sono spaventato”
“Non esserlo. Non ti ho precluso niente. Semplicemente,
avrai tempo più tardi di scrivere della carne. Ora, perché non parli con me ?”
“Una conversazione iniqua. Non credi?”
“Non lo so. Libero arbitrio. Forse sarà iniqua o forse no.
Sta di fatto che sono qui dinnanzi a te e ti chiedo di parlarmi.”
“Il mio barista, Kid, desidererebbe che tu…che
tu…avvelenassi tutti i francesi.”
“Oh, oh, oh. E perché mai ?”
“Tu non conosci il mio barista. Lui è così. Senza…senso,
credo. Insomma, i Francesi sono tronfi e presuntuosi ma per lui basterebbe
anche il solo fatto che una francese lo
avesse rifiutato.
Bhè, insomma, hai capito. E’ un tipo pericoloso il mio
barista. E’ unico.”
“Lo so, ragazzo. Lo so.”
“Ah già…Insomma di cosa vuoi parlare. Seriamente...”
“Tu davvero vuoi essere serio ? Adesso ?”
“Io non ho mai voluto essere niente, onestamente. Essere nel
senso del diventare qualche cosa. Di dimostrare.”
“So anche questo. Ti sei mai dato una risposta in merito ?”
“Io credo sia stato in risposta a tutto quello che mi
circondava. Tu dovresti saperlo, mi hai fatto tu. E, per favore, non iniziare
col libero arbitrio…”
“Ci mancherebbe…”
“Ecco…insomma…ma si può sapere cosa vuoi ? Io sono il
risultato del mio vissuto. Scrivo, bevo e scopo. Spesso non in quest’ordine.
Sono una persona intelligente ? Non particolarmente…solo, riesco a vedere ciò
che gli altri non vedono. Quello che per l’umanità non esiste, più. Colgo gli
aspetti umanistici di questi uomini freddi. Al contempo, mi sfugge
completamente il loro senso dell’arrabattarsi. La mancanza di passione, di
sentimento. E’ tutto alla rovescia. Ed io sono ingiustificato templare di tempi
non miei”
“Se questi non sono i tuoi tempi, cosa ci fai qua ?”
“Suppongo dovresti dirlo tu a me. Bah…lascia stare”
“Non lascio stare, Hank. Non lascio stare te. Stasera
chiudiamo il conto. Stasera, le saldiamo tutte quante. Stasera vuotiamo il
sacco.”
“Bene. Non chiedo di meglio. Non aspettarti favoritismi di
sorta.”
“Ci mancherebbe”
“Spara il carico. Lascia andare la rabbia. Liberati.”
Feci per aprire il rubinetto. Avrei investito tutto e tutti
con ciò che ero e rappresentavo. Avrei fatto paura anche a Lei.
Mi fissava senza paura. Sapeva. Più m’avvicinavo e più Le si
dipingeva un sorriso sul volto. Infondeva armonia e pace.
Mi fermai. La fissai e con le lacrime ancora agl’occhi Le
dissi: “C’hai provato. Sei brava”.
“Provato a fare cosa, di grazia ?”
“Lo sai. Di che cosa avrà sempre bisogno una divinità ?”
“Una divinità, per sua natura, non ha bisogno di niente.”
“Sbagli un’altra volta. Una divinità ha bisogno di fedeli.
Come si fidelizzano le persone ?”
“Dimmelo tu…”
“Compassione. Braccia aperte. Speranza. Nessuno verrà
lasciato fuori. Giusto ?”
“Hank…”
“Tu mi conosci, mi hai fatto tu, parole tue. Mi hai fatto e
mi hai lasciato solo. Non c’è un finale soddisfacente per me. Non ho la scappatoia
della speranza io. Nessun tipo di salvezza. Solo una crepuscolare e
sentimentale testa di cazzo.”
“Aspetta Hank”
“Ora…per questo, per il mio destino, non aspettarti che
inveisca contro di te. Sarebbe l’esatta continuazione del tuo gioco.
Tu mi fai in un certo modo. Mi lasci giocare col libero
arbitrio, sapendo benissimo di non avermi fornito tutti i mezzi per poterlo
sfruttare pienamente. Io cedo. Ti chiedo amore e perdono. Tu mi accogli
trionfale, una volta di più, nella tua grazie.”
“No. Non è così.”
“Infatti. Infatti non è così. Il libero arbitrio è un
concetto talmente ai confini del mondo che neanche tu, lo comprendi del tutto.
Tu mi hai scacciato dalla normalità di un’umanità non mia. In cambio però mi
hai dato: sesso, alcol ed una penna. Non me le hai concesse, solo, per tua
libera scelta. Me le hai concesse perché sapevi che mi rappresentavano. Che
erano parte di me.
Creandomi, sapevi che avresti tracciato una via. Queste
qualità e vizi sono inscindibili dalla mia persona. Ed io non ti chiederò di
aggiustare il tuo operato. Anzi, ti ringrazio. Mi hai fatto diverso. Ho gli
occhi per vedere. Una testa per lavorare gli uomini. Mani per toccare. Un naso
per odorare. L’ultimo fottuto paio d’occhi non ciechi. Io sono l’ultimo uomo
rimasto.”
“Hai finito ?”
“A dire il vero è appena cominciata. E’ solo uno show. Ci
vediamo alla prossima, vecchia mia”
Mi alzai e La lasciai al tavolo con le ultime due dita di
drink che ondeggiavano da un bordo all’altro del bicchiere.
Salutai Ash e gl’assicurai che c’avrei pensato io a fottere
qualche francese.
Ash mi fissava da dentro L’ostrica.
Ero uscito da una decina di secondi.
Venne raggiunto al bancone da coLei con cui avevo parlato
per gran parte della serata.
“Ash…”
“Sì. Lui pensa davvero..”
“Pensa d'aver parlato con Dio ?”
“Non proprio…Gesù o…Gesà.”
“Cosa facciamo ?”
“I cazzi nostri”
“Ma Ash, io volevo dirgli..”
“Per stasera va bene così…”
“Ma Ash, lui deve sapere”
“Lui sa. Sa quello che aveva bisogno di sapere”
Il dolore e la tristezza che regnavano dentro di me.
La solitudine che incorniciava ricordi pulsanti e mai
sbiaditi.
Erano un prezzo che avrei pagato obtorto collo.
Avevo il cazzo duro. Barcollavo e sapevo che prima dell’alba
avrei buttato giù un paio di righe in fumo di Londra.
Ero l’ultimo umano rimasto. La mia maledizione preferita.
Fine
JL
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